Gli eredi di Rockefeller rinunciano al petrolio «Un dovere morale»
NEW YORK — Petrolio addio. A dirlo non è un qualsiasi attivista «verde». Ma la famiglia americana più famosa per essersi arricchita con l’oro nero: i Rockefeller.
L’annuncio l’hanno dato ieri, il giorno dopo la grande marcia «per difendere il pianeta» e prima del summit convocato alle Nazioni unite per discutere sul controllo dei cambiamenti climatici. Alla manifestazione ambientalista newyorkese aveva partecipato, con i suoi tre figli, anche Valerie Rockefeller Wayne, una dei discendenti del magnate petrolifero John D. Rockefeller Sr ancora attivi nella fondazione filantropica Rockefeller Brothers Fund.
La fondazione, creata nel 1940 dai figli del capostipite della dinastia Rockefeller, ha un patrimonio di 860 milioni di dollari e ha deciso di unirsi al movimento Global Divest-Invest. Comincerà a vendere le azioni di aziende che fanno profitti con il carbone e con le sabbie bituminose, due delle fonti più intense di emissioni inquinanti. Poi disinvestirà gradualmente da tutto il settore dei combustibili fossili comprese le compagnie petrolifere. «Abbiamo l’imperativo morale di preservare un pianeta in buona salute», ha spiegato Valerie Rockefeller Wayne, aggiungendo di essere sicura che il suo antenato, se fosse vivo, approverebbe la sensazionale decisione.
John D. Rockefeller Sr, infatti, aveva creato la sua fortuna fondando nel 1870 il colosso petrolifero Standard Oil, da cui derivano le moderne compagnie Exxon Mobil, Amoco e Chevron. Ma era stato anche il primo filantropo amante della natura, capace di donare enormi somme per creare oasi naturali: insieme al figlio Rockefeller Jr ha comprato e regalato all’amministrazione pubblica la terra per alcuni dei più grandi parchi americani, come il Grand Teton in Wyoming, l’Acadia nel Maine e il Yosemite in California.
Ora i suoi discendenti sostengono di portare avanti la sua filosofia, senza tradire il suo spirito imprenditoriale. «Siamo convinti che se Rockefeller Sr fosse qui oggi, da astuto uomo d’affari orientato al futuro, si starebbe muovendo fuori dal business petrolifero per investire nell’energia rinnovabile e pulita», ha dichiarato Stephen Heintz, il presidente del Rockefeller Brothers Fund.
Il movimento Global Divest-Invest era cominciato nei campus universitari americani e ora comprende 180 istituzioni e quasi 700 individui, che in tutto valgono 50 miliardi di dollari di patrimonio. Solo dall’inizio del 2014 è raddoppiato il numero di fondi pensione, gruppi religiosi e grandi università che hanno aderito alla campagna. Gran parte del loro patrimonio è investito in Borsa e i guadagni realizzati servono a finanziare le proprie attività.
La vendita delle azioni difficilmente avrà un impatto diretto sui gruppi petroliferi, viste le loro dimensioni. Ma è un segnale: alcuni attivisti lo paragonano al boicottaggio anti-apartheid delle aziende che facevano affari in Sudafrica negli Anni Ottanta. Lo scopo quindi è come minimo accendere una discussione internazionale.
Fra chi ha aderito al Global Divest-Invest c’è Stanford, l’università nella californiana Silicon Valley, che ha deciso di vendere le azioni delle miniere di carbone; mentre Yale ha chiesto ai gestori del suo patrimonio di non investire in aziende che «non prendono misure ragionevoli per ridurre le emissioni di gas serra».
A livello individuale alcuni membri della famiglia Rockefeller resteranno azionisti di Exxon Mobil — ha precisato Heintz — e altri useranno le azioni possedute per far pressione sulla compagnia petrolifera perché adotti politiche più rispettose dell’ambiente.
Maria Teresa Cometto
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