Garantismo a sinistra? Ma quando mai

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C’è qual­cosa, nella recente atten­zione per quanto, spesso impro­pria­mente, viene defi­nito “ garan­ti­smo ” che mi lascia som­ma­mente per­plesso. Il fatto, cioè, che quasi tutti ne par­lino come se si trat­tasse di un “ritorno al”. Apprez­zato o stig­ma­tiz­zato che sia, in ogni caso il garantismo costi­tui­rebbe, per la sini­stra, una sorta di felice “risco­perta delle ori­gini”: o, per lo meno, di ritro­va­mento della pro­pria identità.

Ma quando mai. In realtà, la sini­stra, nella gran parte dei suoi ade­renti e delle sue cul­ture, non è mai stata garan­ti­sta. E, per con­verso, è sem­pre stata attra­ver­sata da potenti pul­sioni giu­sti­zia­li­ste. A spie­gare bene la scarsa sen­si­bi­lità della sini­stra, nella sua intera esi­stenza, per quell’insieme di prin­cipi e di regole che lo stato di diritto ha posto a tutela delle garan­zie indi­vi­duali, tro­viamo soli­dis­sime ragioni sto­ri­che e mate­riali. E tra esse: a) l’idea che i diritti vivano pre­va­len­te­mente in una dimen­sione col­let­tiva e in uno spa­zio sociale; b) una con­ce­zione sostan­zia­li­sta della giu­sti­zia. Que­ste due opzioni soprav­vi­vono tut­tora e sono l’esito di una situa­zione pesan­te­mente deter­mi­nata, che vede la sini­stra svi­lup­parsi in una con­di­zione di asso­luta mino­rità e, tut­ta­via, con l’ambizione di orga­niz­zare e rap­pre­sen­tare lar­ghe masse prive di tutto (se non della pro­pria prole). Di con­se­guenza, per una fase lunga almeno un secolo, al cen­tro del sistema di inte­ressi e di valori della sini­stra saranno le garan­zie col­let­tive, le tutele sociali, i diritti delle classi e dei gruppi. In altre parole, le libertà intorno alle quali la sini­stra si costi­tui­sce e per le quali si batte sono quelle fon­date sui biso­gni delle grandi masse: e, innan­zi­tutto, l’emancipazione dalla mise­ria eco­no­mica e dall’esclusione sociale.

Per molto tempo, i diritti sog­get­tivi, le libertà per­so­nali, le garan­zie del sin­golo e tutto ciò che rimanda all’autonomia indi­vi­duale ven­gono, nella migliore delle ipo­tesi, dopo la con­qui­sta dei diritti col­let­tivi. Que­sta con­ce­zione resi­ste fino agli anni Set­tanta, quando final­mente il tema delle libertà della per­sona non viene più col­lo­cato tra le cate­go­rie “piccolo-borghesi”; e non viene più con­fi­nato tra i valori “libe­rali”. Ma diventa la mate­ria viva di pro­fonde tra­sfor­ma­zioni e la posta in gioco di aspri con­flitti. Ciò si deve, in par­ti­co­lare, agli effetti dell’azione e dell’elaborazione del fem­mi­ni­smo e al ruolo delle mino­ranze radi­cali, liber­ta­rie e anti-autoritarie. E tut­ta­via, il tema delle libertà indi­vi­duali — nono­stante il dirom­pente impatto di riforme come quella del divor­zio e quella dell’aborto — resta tutt’ora secon­da­rio per la gran parte della sini­stra, rispetto alle più impor­tanti que­stioni della giu­sti­zia sociale. Non si com­prende, e per molto tempo ancora non si com­pren­derà, che libertà del sog­getto e garan­zie eco­no­mi­che, auto­no­mia della per­sona e diritti sociali pos­sano coe­si­stere, reci­pro­ca­mente richia­marsi e fare affi­da­mento gli uni sugli altri. Certo è pos­si­bile che in fasi di acuta crisi eco­no­mica, si ripro­pon­gano le tra­di­zio­nali gerar­chie dei pro­grammi sociali, ma oggi — ed è solo un esem­pio — il diritto al lavoro è sem­pre meno scin­di­bile dal diritto alla piena espres­sione della pro­pria sog­get­ti­vità, com­presa quella rela­tiva alla sfera ses­suale. Per capirci, un lavo­ra­tore ha cer­ta­mente come prio­rità la garan­zia di un red­dito ma non è indif­fe­rente al rico­no­sci­mento anche giu­ri­dico delle pro­prie pre­fe­renze ses­suali “di mino­ranza” (unioni civili) o alla più ampia pos­si­bi­lità di pro­crea­zione (fecon­da­zione assi­stita). In altre parole è oggi pos­si­bile con­si­de­rare la per­sona nella sua inte­rezza: non più solo come «indi­vi­duo eco­no­mico» o «attore poli­tico», bensì come sog­getto che intende eser­ci­tare la pro­pria capa­cità di auto­de­ter­mi­na­zione nei diversi campi della vita sociale e nelle dif­fe­renti forme della sua esperienza.

Una ulte­riore con­se­guenza di quanto detto dovrebbe por­tare alla più ampia tutela delle impre­scin­di­bili garan­zie indi­vi­duali e alla più rigo­rosa pro­te­zione dell’integrità della per­sona e del suo corpo, quando si trovi sot­to­po­sto a limi­ta­zione della libertà. Ma qui il ragio­na­mento incon­tra un altro limite, che ha gra­vato sull’intera sto­ria della sini­stra. Ovvero quella con­ce­zione sostan­zia­li­sta della giu­sti­zia prima citata. La sini­stra, infatti, si svi­luppa per affer­mare ugua­glianza e libertà, com­bat­tendo non solo rap­porti di forza ini­qui, ma anche sistemi giu­ri­dici e ordi­na­menti legali, fun­zio­nali a quelle rela­zioni di potere dise­guali. Dun­que la sini­stra con­fligge con l’ordinamento giu­ri­dico for­male per imporre una giu­sti­zia sostan­ziale.

Qui è la radice più pro­fonda del sostan­zia­li­smo e una delle cause dell’anti – garantismo. Non a caso il sostan­zia­li­smo ha avuto con­se­guenze nefa­ste pro­prio sul piano del pro­cesso penale. Qui soc­corre Luigi Fer­ra­ioli e il suo clas­sico Diritto e ragione: «La verità cui aspira il modello sostan­zia­li­stico del diritto penale è la cosid­detta verità sostan­ziale o mate­riale, cioè una verità asso­luta e onni­com­pren­siva in ordine alle per­sone inqui­site, priva di limiti e di con­fini legali, rag­giun­gi­bile con qua­lun­que mezzo al di là di rigide regole procedurali».

E tutto ciò fini­sce con l’essere fun­zio­nale a una «con­ce­zione auto­ri­ta­ria e irra­zio­na­li­stica del pro­cesso penale». In pro­po­sito, le biblio­te­che, le eme­ro­te­che e gli archivi sono zeppi e onu­sti di una ster­mi­nata e ine­so­ra­bile docu­men­ta­zione. Io, per dirne una, ho pro­prio qui, tra le mani un ottimo esem­pio del rap­porto tra modello sostan­zia­li­sta e com­por­ta­mento poli­tico anti-garantista.

L’episodio — a smen­tire l’euforia per “il ritorno” alla tutela intran­si­gente dei diritti indi­vi­duali — risale giu­sto a luglio scorso. Non troppo tempo prima (feb­braio 2014) la Pro­cura della Repub­blica di Napoli chiede al Senato l’autorizzazione all’acquisizione dei tabu­lati tele­fo­nici rela­tivi a 24 mesi di uso dei tele­foni cel­lu­lari inte­stati al sena­tore Anto­nio Milo. Da quei tabu­lati la Pro­cura ritiene di poter desu­mere se Milo sia stato effet­ti­va­mente in cura presso il Cen­tro fisio­te­ra­pico di Napoli delle cui pre­sta­zioni ha chie­sto il rim­borso all’assistenza sani­ta­ria per i par­la­men­tari. La Pro­cura intende dimo­strare l’assenza di qua­lun­que aggan­cio dei tele­fo­nini inte­stati a Milo alla cella di loca­liz­za­zione dell’istituto presso cui si sareb­bero svolte le cure. Se si dimo­strasse che i tele­fo­nini di Milo “non sono stati mai lì”, si avrebbe la prova del com­por­ta­mento truf­fal­dino dell’intestatario di que­gli appa­rec­chi. A pre­scin­dere da altre discre­panze (per esem­pio, l’arco tem­po­rale inda­gato va oltre i limiti entro i quali si sarebbe con­su­mata la truffa), viene igno­rata la bana­lis­sima pos­si­bi­lità che il par­la­men­tare in que­stione si sia recato in quel cen­tro privo di tele­fo­nino. Per con­verso, l’eventuale pre­senza di un tele­fo­nino del sena­tore Milo presso il Cen­tro fisio­te­ra­pico non testi­mo­nie­rebbe, di per sé, delle pre­sta­zioni effet­ti­va­mente rese. Ebbene, di fronte a ciò, il primo luglio l’aula del Senato, con voto segreto e a mag­gio­ranza, auto­rizza l’acquisizione di quei tabu­lati. Indo­vi­nate un po’ come si pro­nun­ciano e come si schie­rano i par­la­men­tari di centro-sinistra e, segna­ta­mente, quelli del Pd.

Ed è solo un esem­pio, e nem­meno dei più oltrag­giosi. Dun­que, se quella del garantismo fosse dav­vero, per la sini­stra, una “risco­perta” essa andrebbe col­lo­cata in una data cer­ta­mente suc­ces­siva al 1 luglio 2014.



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