Ferrari. Il piano industriale e la strategia dietro la svolta

by redazione | 11 Settembre 2014 7:35

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MILANO — Che cosa cambia da oggi in Ferrari? Tutto e niente. E’ vero c’è un nuovo presidente, Sergio Marchionne che ne sostituisce un altro, altrettanto carismatico e famoso, Luca Cordero di Montezemolo. La passione, l’impegno, la determinazione, le motivazioni saranno le stesse, perché lo spirito di squadra rimane identico. Alle spalle delle vetture di Maranello rimane una formula vincente, in ogni settore di attività dell’azienda, perché la Ferrari supera ogni individualismo, è un’azienda che costruisce tutto da sola in assoluta autonomia.
Circa 3.000 persone lavorano nelle fabbriche di Maranello e di Modena, di età media intorno ai 40 anni, con livello di istruzione elevato e l’inserimento di un 25%, tra operai ed impiegati, che proviene da una trentina di Paesi del mondo. A Maranello, vicino allo stabilimento, l’ingegner Enzo Ferrari aveva, con lungimiranza, fatto costruire, all’inizio degli anni Quaranta, un istituto di perfezionamento professionale. Diventato nel tempo pubblico, rappresenta il punto di riferimento per gli studenti promossi che vengono assunti in Ferrari. Questo è il patrimonio vero della Ferrari che rimarrà più italiana di prima, la capofila di una scuola, la bandiera per tutti i marchi di Fca a cui appartiene. E’ in atto un movimento in cui arte ed industria si mescolano, segnando nuove strade in cui non tutti possono accedere. L’industria è al centro di un nuovo modello di crescita che rafforzerà la concorrenza, assicurando, contemporaneamente, nuovi posti di lavoro. Un mondo globalizzato che non ha più confini, sia dal punto di vista economico che finanziario, i mercati sono interdipendenti uno dall’altro, la crisi di una nazione può innescare reazioni imprevedibili in tutto il globo. Questa è la svolta che deve affrontare Fca, sospinta dai valori del Cavallino. La svolta che affronterà Marchionne nel momento in cui la nuova società verrà quotata a New York. «Un nuovo ciclo va riscritto» ha detto Montezemolo, ieri a Maranello, senza dover «integrare Ferrari in Fiat Chrysler» ha precisato Marchionne, sottolineando che «la Ferrari è nata e resterà sempre italiana». Nulla potrà essere prodotto fuori dai nostri confini, proprio per il ruolo che questo marchio copre nel mondo, qualsiasi evento che potrà succedere nei prossimi mesi non andrà a intaccare lo svolgimento di un programma che, per il nuovo presidente, vede solo il ritorno alla vittoria in pista «il mio impegno è duraturo». Possiamo credere che si butterà, a capofitto, per ritornare sul gradino più alto del podio, per ridare credibilità al potenziale umano e tecnico del brand, perché «vincere sui circuiti non è un’opzione negoziabile, conservare un’integrità strategica è determinante per andare avanti».
L’innovazione svolge una funzione di volano per stimolare le imprese ad arrivare per prime sui mercati globali, parti di una stessa catena che ha il compito di coadiuvare il passaggio a una gestione ancora più efficace. Amedeo Felisa resterà l’amministratore delegato della Ferrari, ma anche in questo caso, una sostituzione non avrebbe il significato di un ribaltamento. E’ vero, l’uscita di Montezemolo può essere considerata come la fine di un’epoca, ma Fiat ha attraversato molte altre tempeste, profondamente dolorose. Rimane l’aspetto umano, le lacrime, la commozione di Montezemolo nel percepire l’irreversibilità della situazione che stava vivendo, non possono lasciare insensibili.
La ragione delle divergenze degli ultimi giorni si trova in una visione totalmente diversa sul ruolo che la Ferrari dovrà ricoprire all’interno del nuovo gruppo. Se Montezemolo ha sempre considerato il Cavallino un’entità distaccata, autonoma, diversa da tutte le altre, Marchionne lo vede come un tassello, il più importante, del suo grande disegno industriale, pur escludendo, per il momento, qualsiasi ipotesi di Ipo indipendente.
Bianca Carretto

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