Farinetti. Il lavoro «made in Eataly»

Farinetti. Il lavoro «made in Eataly»

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Il talento di Oscar Farinetti, patron di Eataly, è quello di far par­lare di sé. L’imprenditore con­si­de­rato vicino al pre­si­dente del Con­si­glio Mat­teo Renzi, ci è riu­scito un’altra volta quando ha assi­cu­rato che «l’articolo 18 va bene così com’è». Appa­ren­te­mente sem­bra avere preso le distanze dall’osmosi con Renzi e la mag­gio­ranza del Pd, impe­gnati nella cro­ciata anti-sindacale sulla norma più sim­bo­lica, e meno fre­quen­tata, del diritto del lavoro italiano.

Lo ha fatto per recu­pe­rare ter­reno sul piano sim­bo­lico per­ché il cla­mo­roso scio­pero di sabato 30 e dome­nica 31 ago­sto indetto dai lavo­ra­tori di Eataly Firenze insieme ai Cobas ha sgual­cito l’immagine «armo­nica» riven­di­cata dal mar­ke­ting azien­dale nel rap­porto con i lavo­ra­tori e soprat­tutto con i clienti. Il mes­sag­gio è chiaro: nei negozi Eataly nes­suno viene licen­ziato. Ma come in tutte le aziende che ricor­rono a pos­senti dosi di fles­si­bi­lità, anche a Eataly i con­tratti a ter­mine non ven­gono rin­no­vati. E i lavo­ra­tori restano senza impiego, pur non essendo uffi­cial­mente licen­ziati. Una realtà che non viene con­tem­plata nel dibat­tito che sta dila­niando il governo e la sua mag­gio­ranza in que­ste ore.

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È quello che è acca­duto nella filiale di Firenze dove, il 4 set­tem­bre scorso, l’impresa ha rag­giunto un accordo con la Fil­cams Cgil. Cin­quanta dipen­denti dello store eno­ga­stro­no­mico hanno otte­nuto il con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato, ad oggi riser­vata a soli 22, su un orga­nico di 97 lavo­ra­tori «com­pren­sivo dei diri­genti esclusi dai pro­cessi di snel­li­mento» sosten­gono i lavo­ra­tori. Sono rima­sti senza un impiego i con­tratti non rin­no­vati e chi ha pro­mosso lo scio­pero ad ago­sto. «Fin dall’apertura abbiamo denun­ciato il numero troppo alto di lavo­ra­tori som­mi­ni­strati rispetto all’applicazione con­trat­tuale — sostiene Mas­si­mi­liano Bian­chi, segre­ta­rio gene­rale Fil­cams Cgil Firenze — con quest’accordo ripor­tiamo la per­cen­tuale pre­vi­sta dal con­tratto nazio­nale all’8%, anche per evi­tare un uso mas­sic­cio di tale forma con­trat­tuale nell’apertura di altri punti vendita».

I lavo­ra­tori della filiale fio­ren­tina, una spina nel fianco di Eataly, non la pen­sano così. Per loro la sta­bi­liz­za­zione è un’interpretazione ridut­tiva del con­tratto nazio­nale, effet­tuata gra­zie all’accordo inter­con­fe­de­rale del 28 giu­gno 2011, con­te­sta­tis­simo dalla Fiom. Nell’accordo «non sono men­zio­nate nè le con­di­zioni di lavoro nè le richie­ste di rein­te­gro dei licen­ziati». «È quello che è acca­duto anche nella filiale di Bari dove, nono­stante il miglio­ra­mento com­ples­sivo, meno della metà dei con­tratti sono sta­bili, la mag­gio­ranza è com­po­sta da appren­di­sti, lavo­ra­tori a sca­denza e inte­ri­nali» sosten­gono i lavo­ra­tori fio­ren­tini che hanno rea­gito con intelligenza.

Sul sito «Clash City Wor­kers» hanno infatti pub­bli­cato un lungo e arti­co­lato docu­mento che ricorda la vec­chia «inchie­sta ope­raia». Qui hanno riba­dito le loro richie­ste: rias­sun­zione di chi è rima­sto escluso dal rin­novo, scio­pe­ranti inclusi; migliori con­di­zioni di lavoro e stop all’abuso dei con­tratti a ter­mine in tutte le filiali Eataly oltre i limiti del con­tratto nazio­nale. Se la Cgil ha chie­sto a Farinetti l’apertura di un tavolo di trat­ta­tiva nazio­nale, per impe­dire l’abuso del pre­ca­riato e otte­nere final­mente l’agibilità sin­da­cale in azienda, loro invi­tano tutti i lavo­ra­tori di Eataly ad «alzare la testa». Vogliono creare un’«alleanza» per sta­bi­lire «un piano nazio­nale di sta­bi­liz­za­zioni reali e migliori con­di­zioni di lavoro». Senza la loro mobi­li­ta­zione, l’accordo sin­da­cale non sarebbe mai stato raggiunto.

La let­tura dell’inchiesta è inte­res­sante per­chè dimo­stra come l’articolo 18 venga aggi­rato in un’azienda che con­duce una «gestione a fisar­mo­nica» del per­so­nale. «L’obiettivo prin­ciale dell’organizzazione interna — si legge — è l’abbattimento del costo del lavoro». L’obiettivo è la cre­scita «più veloce pos­si­bile» dell’azienda che ha aperto nume­rose filiali all’estero e l’anno pros­simo pre­vede l’apertura del «Fico», il mega-parco tema­tico in stile «Disney­land» dedi­cato al cibo nel Cen­tro Agroa­li­men­tare di Bologna.

Leggi: Milano, lì dove c’era uno Sme­raldo, oggi c’è Eataly

Il «modello Farinetti » viene rico­struito in maniera pun­ti­gliosa. La filiale di Firenze, inau­gu­rata dall’ex sin­daco Mat­teo Renzi il 17 dicem­bre 2013, con­tem­plava 131 lavo­ra­tori allora assunti tra­mite le agen­zie inte­ri­nali Ope­n­Job e Adecco. Anche a Firenze è stato tra­sfe­rito un gruppo di respon­sa­bili (uno per reparto) sele­zio­nati in altri punti ven­dita. Si è for­mato così un pic­colo nucleo di occu­pati «interni» con con­tratti a tempo deter­mi­nato per la durata di un anno. Poi sono stati assunti un gran numero di inte­ri­nali sele­zio­nati mese dopo mese. Per godere di un’estrema fles­si­bi­lità nella gestione della forza-lavoro, «Eataly ha spac­ciato le sue nuove aper­ture per delle start-up, nono­stante il suo caso non rien­trasse nella fat­ti­spe­cie giu­ri­dica — sosten­gono i lavo­ra­tori — Con­si­de­rando il fatto che un’azienda come Eataly, che attual­mente fat­tura 400 milioni di euro l’anno e che vive ormai dal 2007, è dif­fi­cil­mente con­si­de­ra­bile una start-up».

Tra dicem­bre 2013 e l’estate 2014 i con­tratti sono stati rin­no­vati in base a una «dif­fe­ren­zia­zione stu­pe­fa­cente» pur trat­tan­dosi di lavori dello stesso tipo e svolti negli stessi reparti: inte­ri­nali, appren­di­stato, a tempo deter­mi­nato e anche inde­ter­mi­nati. L’orario variava da 20 a 40 ore set­ti­ma­nali o a for­fait. «È una gestione del lavoro asim­me­trica: rigida nel richie­dere doveri ai dipen­denti, molto poco for­male nel rispet­tarne i diritti — scri­vono i lavo­ra­tori — Eataly ha sfrut­tato l’immagine di un’azienda che garan­ti­sce il lavoro ai gio­vani, rica­van­done van­taggi eco­no­mici per poi ridurre i livelli del per­so­nale, ina­sprendo le con­di­zioni lavo­ra­tive. Un po’ quello che, su scala nazio­nale, si appre­sta a ripro­durre il governo Renzi con il Jobs Act».



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