Epifani: «Dividersi è una sciocchezza Ma il reintegro deve restare»
ROMA — «Le voci di scissione nel Pd sono una sciocchezza, roba inesistente. Ma non giova a nessuno accentuare lo scontro e sarebbe un errore gravissimo non trovare un’intesa sul Jobs act». Guglielmo Epifani interviene in un dibattito, che definire infuocato è un eufemismo, nel quale è parte in causa, essendo stato per anni segretario, prima della Cgil e poi del Pd. E lo fa provando a gettare acqua sul fuoco.
Segretario, volano insulti e accuse nel Pd.
«Credo che sia un errore e che sia necessario far capire i punti sui quali si converge e quelli sui quali c’è un’impostazione diversa. Altrimenti ai cittadini finirebbe per sfuggire il senso della discussione».
Proviamo.
«Innanzitutto, va detto che la riforma del lavoro, tema su cui si dibatte da decenni, va affrontata. Serve un mercato del lavoro più moderno, equo e inclusivo. Cominciando dagli ammortizzatori sociali, che devono arrivare a coprire in maniera non occasionale le persone che hanno contratti di lavoro precario. Diritti che vanno estesi a maternità e salute».
Si parla di demansionamento e di controlli a distanza.
«Sono due questioni che possono essere affrontate, ma con giudizio. Lasciando più spazio alla contrattazione tra imprese e sindacati. Credo che tutti capiscano che costringere un ingegnere a fare un lavoro meno qualificato non avrebbe senso».
L’articolo 18, nonostante da mesi si minimizzi, è diventato centrale nel dibattito.
«È diventato il problema dei problemi, quando invece è un tema, importante come gli altri».
Come si deve affrontare?
«La via maestra è quella del contratto di lavoro a garanzie crescenti, una proposta lanciata da Boeri tanti anni fa e ripresa da Damiano e Madia. Ha il pregio, se si riducessero i contratti a quattro o cinque tipologie, e su questo la delega non è chiara, di semplificare le modalità di assunzione».
Veniamo al reintegro, che si vorrebbe sostituire con l’indennizzo.
«Credo che superato il periodo di prova di tre anni, il reintegro debba rimanere, magari affinandolo. Per tre motivi: è previsto in molti ordinamenti europei, a cominciare dalla Germania; l’abbiamo modificato in modo restrittivo solo due anni fa; infine, se lo togliessimo, finiremmo per dividere nella stessa azienda lavoratori assunti in tempi diversi. Cosa che è contro il buon senso, contro l’interesse dell’azienda e contro la Costituzione».
Quindi sarebbe anticostituzionale?
«Nessuno l’ha ancora notato. Io posso differenziare il reintegro sulla base delle dimensioni delle imprese, ma mi sembrerebbe difficilmente legittimo farlo solo in base alla data di assunzione».
E l’indennizzo?
«Il rischio è quello che si è visto nell’esperienza spagnola, dove l’indennizzo è stato ridotto fino a portarlo a una cifra bassissima, quasi inesistente».
Lei diceva, mantenere il reintegro «affinandolo». Cosa vuol dire?
«Si può intervenire su alcuni problemi, come per esempio la difformità di giudizio dei magistrati sul territorio e la velocità».
In questi giorni Renzi ha attaccato i sindacati e Susanna Camusso ha replicato paragonandolo alla Thatcher. Il premier ha rincarato la dose, attaccando anche la «vecchia guardia» del Pd. Cosa ne pensa? È una strategia o uno scontro vero?
«Penso che su un tema come questo, sarebbe molto più utile non attribuire qualifiche e restare nel merito. Quanto a Renzi non faccio il processo alle intenzioni, bisognerebbe chiedere a lui. Ma il problema, ripeto, è solo il merito».
Però l’accusa ai sindacati gode di largo credito nel Paese. Vi si accusa di aver fatto troppo spesso battaglie di retroguardia, di conservazione.
«Non mi posso nascondere dietro un dito essendo stato per anni il segretario della Cgil. Il sindacato ha avuto i suoi ritardi e le sue difficoltà. Ma resto dell’opinione che ha lavorato per salvare il Paese e ridurre le disuguaglianze».
Che però sono cresciute. Per Matteo Orfini, mentre si facevano leggi sbagliate, «i sindacati si sono voltati dall’altra parte».
«Mai, non ci siamo mai voltati. Possiamo non avercela fatta a ridurre le disuguaglianze, è un limite della nostra azione, ma è un altro conto. Le responsabilità vere sono di altri e non hanno fatto le stesse politiche i governi di centrodestra e quelli di centrosinistra».
Lei è d’accordo con Bersani, secondo il quale ci deve essere libertà di voto o, con i renziani, secondo i quali si vota in base a quello che si decide in Direzione?
«Credo innanzitutto che si debba recuperare uno spazio vero di discussione. Un partito del 40 per cento non può che essere plurale: deve saper ascoltare e poi decidere».
E se non trova un’intesa? Sarebbe lecito votare in modo difforme dalla maggioranza?
«Credo che il partito debba svolgere un ruolo di cerniera tra governo e Parlamento. Il partito decide sulle linee, poi i parlamentari hanno libertà e autonomia all’interno di queste decisioni. Mi sembrerebbe strano se non si lasciasse spazio a un confronto vero».
Alessandro Trocino
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