Divorzio tra de Magistris e le toghe I giudici: le sue parole inaccettabili

Divorzio tra de Magistris e le toghe I giudici: le sue parole inaccettabili

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NAPOLI Che non ha alcuna intenzione di dimettersi da sindaco, Luigi de Magistris lo aveva già detto l’altro giorno e pure il giorno prima, appena saputo della sentenza che lo condanna a un anno e tre mesi (pena sospesa) per abusi commessi quando, da pm di Catanzaro, acquisì senza autorizzazione del Parlamento, i dati relativi alle utenze telefoniche di alcuni deputati. Ma ieri è stato il giorno in cui dalla dichiarazione è passato ai proclami. E non solo. Ha pure lanciato messaggi, promesso (o minacciato) divulgazioni clamorose, espresso a voce alta disprezzo verso alcuni «non tutti, ma alcuni sì» — rappresentanti della categoria alla quale apparteneva prima di darsi alla politica: i magistrati.
Del resto c’era da aspettarselo. Ieri mattina de Magistris aveva appuntamento con la sua platea di riferimento, che non è più quella delle piazze dove in campagna elettorale gridava «amma scassà», né è mai stata quella delle «assemblee di popolo» promesse, sempre in campagna elettorale, ma mai fatte. La sua assemblea ora è solo quella istituzionale del consiglio comunale, che da ieri è riunito per l’approvazione del bilancio. E qui il sindaco non solo ha ribadito che alle dimissioni non ci pensa proprio, ma ha detto che «dovrebbe piuttosto dimettersi chi mi ha condannato. E dovrebbe anche vergognarsi».
Una bordata che gli è valsa immediatamente la replica dell’Associazione nazionale magistrati: «Pur non entrando nel merito della vicenda giudiziaria, le espressioni usate vanno ben oltre i limiti di una legittima critica a una sentenza, perché esprimono disprezzo verso la giurisdizione. Si tratta di parole tanto più inaccettabili poiché provenienti da un uomo delle istituzioni che ha per anni anche svolto la funzione giudiziaria». E Raffaele Cantone, ora a capo dell’Anticorruzione, amico dell’ex pm, sottolinea di «non condividere nessuna parola» pronunciata da de Magistris perché un «magistrato rispetta le sentenze».
«Ma il mio non era un attacco alla sentenza ma alla magistratura corrotta», è la risposta di de Magistris che certo non attenua i toni. E meno male che invece si è tenuto basso nel commentare quanto dichiarato dal presidente del Senato Grasso, ieri a Napoli, che ha detto: «La legge Severino va applicata, e quindi ci sarà un provvedimento del Prefetto non appena si renderà esecutiva la sentenza o si depositerà la motivazione».
«Parole legittime», le ha definite il sindaco, che i suoi nemici li vede altrove. «Nei poteri criminali che vogliono mettere le mani sulla città», e perciò opererebbero contro di lui. Poteri criminali che, nel linguaggio di de Magistris, sono l’evoluzione dei poteri forti. Perché «la mafia ha deciso di infiltrarsi, di non colludere più con la politica e di prendere la forma delle istituzioni».
De Magistris promette che se «malauguratamente» dovesse essere sospeso, «vorrà dire che starò meno a Palazzo San Giacomo e di più in mezzo alla strada». E attacca la Severino, autrice, quando era Guardasigilli, della legge che gli costerà la poltrona: «Guarda caso era anche l’avvocato di una mia controparte, e guarda caso ha fatto quella legge mentre il processo era in corso. Mi chiedo se sono solo coincidenze».



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