«Disperdetevi o spariamo» La repressione di Hong Kong
PECHINO Il fumo di centinaia di candelotti lacrimogeni sparati dalla polizia, cariche e una pioggia di manganellate. La sfida democratica tra i grattacieli di Hong Kong è diventata una battaglia urbana, un inseguimento strada per strada intorno alla Civic Square, la piazza del palazzo governativo. L’ordine del comando è arrivato alle sei del pomeriggio: la polizia ha stretto il cordone, gli agenti hanno indossato le maschere antigas e hanno cominciato a spargere liquido urticante contro la prima linea dei dimostranti che cercavano di proteggersi con gli ombrelli. Mentre avanzavano, gli agenti hanno alzato striscioni rossi con la scritta: «Disperdetevi o spariamo». Un attimo e sono cominciati a risuonare i colpi dei lacrimogeni lanciati verso i manifestanti: l’aria si è riempita di fumo. La prima linea dei democratici è arretrata sulla superstrada che attraversa Hong Kong. Ci sono state altre cariche con i manganelli in pugno e ragazzi caduti a terra, una ventina finiti in ospedale.
Il tentativo di repressione ha richiamato una folla ancora più grande, forse 80 mila persone, che nella notte paralizzavano il cuore di Hong Kong. A mezzanotte si sono sparse voci su un attacco imminente della polizia, pronta a sparare. A questo punto i leader anziani del movimento hanno chiesto la ritirata: «Non significa perdere, ma aspettare. È una questione di vita o di morte», ha detto il dottor Chan Kin-man. C’era anche il cardinale cattolico Joseph Zen che ha ammonito: «Vincere sacrificando vite non è vittoria. Abbiamo mandato il messaggio, andate a casa ora».
La drammatica accelerazione della protesta democratica di Hong Kong contro il governo cinese è maturata nella notte tra sabato e domenica, quando i capi di Occupy Central hanno annunciato l’inizio della disobbedienza civile e l’occupazione del centro della city finanziaria. Migliaia di persone si sono radunate davanti al quartier generale governativo, nella Civic Square. Molti si erano preparati con elmetti, occhialoni da nuoto, mascherine, ombrelli, impermeabili, poncho di cellophane per proteggersi dagli spray della polizia.
Il grande sit-in era stato programmato per il 1° ottobre, festa nazionale cinese. Ma sono stati gli studenti dell’organizzazione Scholarism a forzare la situazione, lanciando il boicottaggio delle lezioni, convergendo venerdì sul palazzo governativo, scontrandosi per primi con la polizia. All’1,45 di ieri mattina Benny Tai, il professore di diritto fondatore di Occupy Central, movimento di adulti, docenti universitari, intellettuali, uomini di chiesa, ha detto che «nelle azioni sociali bisogna rispondere alla situazione, all’entusiasmo dei cittadini, quindi l’occupazione del centro comincia. I giovani ci hanno costretto ad agire prima del previsto».
Hong Kong, ex colonia britannica con sette milioni di abitanti, è stata restituita alla Cina nel 1997. In base agli accordi internazionali la città è definita «regione ad amministrazione speciale» e fino al 2047 le è stato garantito il mantenimento delle sue istituzioni democratiche, di una magistratura indipendente, di un sistema scolastico libero. Hong Kong dovrebbe avere anche il voto a suffragio universale per l’elezione del suo governatore, nel 2017. Però a Pechino sono spaventati dalla possibilità che il virus democratico di Hong Kong si diffonda nella madrepatria, mettendo in pericolo la presa ferrea del partito sul potere. Così ad agosto le autorità centrali hanno comunicato a Hong Kong le condizioni per il voto: saranno ammessi solo due o tre candidati «patriottici» e «innamorati della madrepatria cinese», vale a dire seguaci fidati del partito comunista di Pechino. I candidati saranno pre-selezionati da un conclave di 1200 notabili hongkonghesi allineati. A quel punto, contro la legge elettorale farsa, Occupy Central ha cominciato a organizzare il blocco del distretto finanziario.
Ieri ha parlato il Chief Executive CY Leung: ha detto che le elezioni si svolgeranno come stabilito da Pechino, ma ha ipotizzato nuove consultazioni. Poi lacrimogeni e cariche. «Il governo centrale della Cina si oppone agli assembramenti illegali di Hong Kong», ha tagliato corto Pechino in una nota. «Vergogna, codardi, vergogna», gridava a ogni scarica di lacrimogeni il mare dei dimostranti, chiedendo ai reporter di «far sapere al mondo che qui ci battiamo per la democrazia negata, che siamo disarmati e la polizia è crudele». Nella notte i due blocchi continuavano la sfida ravvicinata. Con la paura che si superi il punto di non ritorno .
Guido Santevecchi
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