Il Cremlino all’Ucraina: «Subito trattative sullo status dell’Est»

Il Cremlino all’Ucraina: «Subito trattative sullo status dell’Est»

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MOSCA — Un concetto espresso male o, forse, una frase buttata lì per far capire all’Europa e all’Ucraina che la Russia potrebbe anche alzare la posta. In una intervista televisiva, Vladimir Putin ha sostenuto la necessità a questo punto che si aprano trattative vere per parlare anche della «statalità del Sud Est dell’Ucraina». E tutti hanno subito pensato che il presidente russo avesse aperto la questione della creazione di uno Stato indipendente, staccato da Kiev, comprendente le regioni di Donetsk e Lugansk e, magari, quella fascia di territorio lungo la costa del Mar d’Azov che i ribelli stanno conquistando e che potrebbe unire la Russia alla Crimea.
Ma non era così, si è affrettato a precisare Dmitrij Peskov, attento portavoce di Putin. Per Mosca, questa zona che i ribelli oramai chiamano Novorossiya (nuova Russia) con un termine zarista rilanciato dallo stesso Putin, deve continuare a far parte dell’Ucraina.
E allora? Il problema è che il Cremlino vuole che inizino negoziati diretti tra il governo centrale e i ribelli, cosa che Kiev ha sempre rifiutato, per arrivare a uno Stato federale. Ora che i filorussi sono all’offensiva, è venuto il momento di risolvere le cose con i negoziati, visto che militarmente la rivolta di queste regioni non può più essere domata. Anzi.
Sul terreno la situazione per le forze regolari si sta facendo disastrosa dopo che i ribelli hanno ricevuto uomini e mezzi passati attraverso la frontiera. È per lo meno molto probabile che si tratti di aiuti russi diretti (la Nato parla di ben più di mille uomini con tank e blindati), ma oramai non è più questo il punto. Nel settore di Lugansk i governativi hanno dovuto abbandonare un importante centro riaprendo il collegamento con i valichi di frontiera (da dove possono arrivare nuovi aiuti). Hanno subìto ingenti perdite e sono quasi in rotta. A Donetsk i filorussi si apprestano a riconquistare l’aeroporto, anche se la battaglia sarà durissima. Nel sud, lungo la costa, è atteso da un momento all’altro l’attacco a Mariupol; dopodiché la via per la Crimea sarà aperta. Kiev spera nell’assistenza militare europea ma è chiaro che l’idea di vincere sul terreno è del tutto velleitaria.
Oggi c’è in Bielorussia una riunione del gruppo di contatto, del quale fanno parte anche i ribelli, ma il presidente Petro Poroshenko non vuole discutere con loro. Il suo piano di pace prevede che depongano le armi e poi inizino a trattare una qualche autonomia. Posizione non più difendibile, almeno secondo Mosca. Kiev, dice Putin, deve discutere direttamente con i capi di Novorossiya. «E non su questioni tecniche, ma sull’organizzazione politica della società e sulla statalità del Sud Est dell’Ucraina». Putin da sempre spinge per uno stato federale, con larga autonomia per queste regioni. Ipotesi che ora trova consensi anche in Europa, dove sabato si è solo deciso di preparare entro una settimana un pacchetto di nuove sanzioni (ma non di attuarle). Ci sono paesi che si oppongono, come la Slovacchia, e altri che vogliono l’esclusione dei propri contratti militari (la Francia). Per molti (Italia in testa, visto che dipende fortemente da Russia e Libia) c’è la questione del gas che in inverno sarà essenziale. Kiev sta riempiendo i depositi e quindi se Gazprom continuerà a immettere metano, questo arriverà anche in Europa. Ma Russia e Ucraina non riescono a risolvere la disputa sul prezzo e sugli arretrati e se a monte il gas diretto all’Ucraina verrà fermato, allora il flusso diretto a noi sarà fortemente ridotto, come è avvenuto in passato.
Fabrizio Dragosei



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