by redazione | 1 Settembre 2014 8:29
ROMA . È quella sul lavoro la prossima partita chiave del governo Renzi. La partita decisiva, forse. Perché il presidente della Bce, Mario Draghi, pensava anche all’Italia se non soprattutto all’Italia quando dal vertice dei banchieri centrali sulle montagne americane di Jackson Hole, una decina di giorni fa, ha detto: «Le riforme strutturali sul lavoro non sono più rinviabili». Il governo ha già allungato i tempi, ma ora la strada non ha alternative. Da giovedì la Commissione Lavoro di palazzo Madama riprenderà l’esame del Jobs Act (la legge delega del governo firmata dal presidente Renzi e dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti) dopo aver accantonato prima della pausa agostana il capitolo sul riordino delle forme contrattuali (lì dove si scorge la sagoma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori) per far spazio sì all’approvazione della riforma del Senato, ma anche per far decantare le divisioni nella maggioranza.
Da giovedì tutto ritornerà a galla con il Pd (il partito del premier) restìo ad allargare il campo alla rivisitazione dello Statuto del 1970 e le altre forze della maggioranza (Ncd e Scelta civica) che propongono specificatamente di superare l’articolo 18 il quale, dopo la riforma Fornero di due anni fa, prevede il reintegro automatico nel posto di lavoro solo nel caso di licenziamento discriminatorio o di licenziamento economico insussistente. Pur tuttavia l’articolo 18 sembra di nuovo destinato a diventare l’oggetto del contendere. E i tempi stringono: entro la metà di settembre la Commissione, presieduta da Maurizio Sacconi (Ncd) dovrebbe concludere l’esame della delega ed entro la fine del mese dovrebbe arrivare il via libera del Senato. Poi il passaggio alla Camera con l’obiettivo di chiudere tutto entro l’anno. Poletti sta già predisponendo i diversi decreti delegati perché tutto sia operativo entro la prima metà del 2015.
Nei suoi sei articoli la legge delega non accenna nemmeno alla questione dei licenziamenti. Che però può rientrare attraverso, appunto il riordino dei contratti di lavoro. Ncd e Sc puntano a un contratto a tempo indeterminato con l’introduzione dell’indennizzo in caso di licenziamento senza giusta causa. Soluzione che piace anche alla Confindustria di Giorgio Squinzi («quella del contratto unico è la direzione giusta», ha detto ieri dalla Festa dell’Unità a Bologna). Il Pd propone un contratto di inserimento a protezioni crescenti nel quale non si applichi l’articolo 18 esclusivamente nei primi tre anni, considerato un lungo periodo di prova oltre il quale le regole devono uniformarsi. Il governo non ha ancora scoperto le sue carte. Dice che aspetta le decisioni del Parlamento. Ma sa che su questo si gioca un pezzo di credibilità sullo scenario europeo e che su questo, dunque, verrà valutato, dagli investitori finanziari, dai “guardiani” della Commissione di Bruxelles e dall’Eurotower di Francoforte, il grado discontinuità della sua azione. Un simbolo, nel bene e nel male.
D’altra parte né Renzi né Poletti hanno mai detto che l’articolo 18 resterà così com’è. Hanno sostenuto che non è quello il cuore del Jobs Act che effettivamente ha l’ambizione di riordinare, e semplificare, le norme e le procedure sul lavoro, riducendo le attuali differenze tra lavoratori garantiti e outsider. E poi che hanno scelto di agire in due tempi: prima il decreto sulla semplificazione dei contratti a termine, poi la delega sul lavoro. Renzi ha però detto di più: ha spiegato che il governo intende riscrivere lo Statuto dei lavoratori «e riscrivendolo — ha aggiunto — pensiamo alla ragazza di 25 anni che non può aspettare un bambino perché non ha le garanzie minime». «Non parliamo solo di articolo 18 che riguarda una discussione tra destra e sinistra. Parliamo di come dare lavoro alle nuove generazioni». Da qui a fine anno si capirà come questi principi si tradurranno nella riforma. Perché la legge delega molto ampia e non stringente nei «principi e criteri direttivi » (qualche giurista ha già storto il naso) non fa presagire quali saranno le soluzioni definitive.
E non sono affatto di secondaria importanza gli altri articoli della legge delega: riforma degli ammortizzatori sociali per introdurre tutele uguali per tutti; rilancio delle politiche attive per il lavoro con la costituzione di un’Agenzia nazionale per l’impiego; tutela per la maternità di tutte le donne lavoratrici indipendentemente dal contratto di lavoro.
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