Can­na­bis. E’ la fine di un tabù

Can­na­bis. E’ la fine di un tabù

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Final­mente una buona noti­zia. O almeno così sem­bra. Sarebbe pros­simo, cioè, il parere favo­re­vole del mini­stero della Salute per l’avvio di una pro­du­zione di can­na­bis medi­ci­nale presso lo Sta­bi­li­mento chi­mico far­ma­ceu­tico mili­tare di Firenze. Se dav­vero così fosse, dovremmo esserne sod­di­sfatti.

Innan­zi­tutto per­ché que­sta misura potrebbe intro­durre una rile­vante cesura nei pro­cessi di stig­ma­tiz­za­zione della can­na­bis come droga letale: una con­vin­zione così per­vi­ca­ce­mente impressa (e con effetti così per­ni­ciosi) tanto nella men­ta­lità dif­fusa quanto nel senso comune di molte cate­go­rie: medici e ope­ra­tori sociali, legi­sla­tori e opi­nion leaders.

Una inter­di­zione morale e ideo­lo­gica, che ha finito con l’assumere nel corso del tempo il peso di un vero e pro­prio tabù. Il che ha pro­dotto pro­fonde con­se­guenze sia sul piano della ricerca scien­ti­fica che su quello dell’organizzazione sani­ta­ria e, infine, nella sfera delle poli­ti­che pub­bli­che. Ora, sem­bra che si sia arri­vati a un pas­sag­gio cru­ciale: è in via di for­mu­la­zione e di defi­ni­tiva ste­sura un pro­to­collo tra i mini­steri della Difesa e della Salute, frutto di una discus­sione che ha coin­volto esperti e tec­nici dei due mini­steri e l’Istituto supe­riore di sanità. E si va verso la deci­sione di affi­dare allo Sta­bi­li­mento chi­mico far­ma­ceu­tico mili­tare di Firenze l’incarico di pre­pa­rare far­maci can­na­bi­noidi. E’ esat­ta­mente quanto abbiamo pro­po­sto a par­tire dal gen­naio del 2014 attra­verso un dise­gno di legge, una con­fe­renza stampa, alcuni con­ve­gni e nume­rosi arti­coli (anche su que­ste stesse colonne). Accanto al diritto, dav­vero intan­gi­bile, all’auto-coltivazione per uso medico per­so­nale da parte dei pazienti, va assi­cu­rata una pro­du­zione indu­striale, magari pub­blica, dal momento che finora non una sola azienda far­ma­ceu­tica ita­liana ha chie­sto la rela­tiva licenza. Ebbene, quello Sta­bi­li­mento di Firenze, dipen­dente dal mini­stero della Difesa, ci è sem­brata la sede più ade­guata per una col­ti­va­zione con­trol­lata e garantita.

La pro­po­sta, che aveva sol­le­ci­tato l’interesse della dire­zione dell’istituto, era stata accolta con il mas­simo favore da parte del mini­stro della Difesa, Roberta Pinotti. E fu pro­prio il sot­to­se­gre­ta­rio di quel mini­stero, Dome­nico Rossi a illu­strare — durante il con­ve­gno «La can­na­bis fa bene, la can­na­bis fa male» orga­niz­zato da «A buon Diritto» e dall’Associazione Luca Coscioni — la «capa­cità tec­nica dello Sta­bi­li­mento, con uno spet­tro che potrebbe andare dalla col­ti­va­zione al con­fe­zio­na­mento», sot­to­li­neando, tut­ta­via, l’esigenza di rag­giun­gere un accordo con il mini­stero della Salute. Quell’intesa oggi sem­bra a por­tata di mano. La tra­ge­dia è che ci sono voluti sette anni e tante sof­fe­renze ina­scol­tate per­ché si arri­vasse a que­sto primo risul­tato. Risale, infatti, al 2007 il decreto mini­ste­riale fir­mato da Livia Turco che inse­ri­sce il Thc e altri due far­maci ana­lo­ghi di ori­gine sin­te­tica (il Dro­na­bi­nol e il Nabi­lone) nella tabella delle sostanze psi­co­trope con atti­vità far­ma­co­lo­gica, rico­no­scen­done così la legit­ti­mità dell’utilizzo in ambito medico. Nel 2013 un ulte­riore decreto, ema­nato dal mini­stro della Salute Renato Bal­duzzi, san­ci­sce l’efficacia far­ma­co­lo­gica dell’intera pianta della can­na­bis. Nel frat­tempo undici regioni (Puglia, Toscana, Mar­che, Veneto, Friuli Vene­zia Giu­lia, Ligu­ria, Abruzzo, Sici­lia, Umbria, Basi­li­cata, Emi­lia Roma­gna) hanno appro­vato leggi sulla can­na­bis medi­ci­nale. Que­sti prov­ve­di­menti, seb­bene diso­mo­ge­nei tra loro, con­ver­gono tutti nel pre­ve­dere l’erogazione di quei far­maci con spese a carico dei rispet­tivi ser­vizi sani­tari regio­nali. Nono­stante que­sti dispo­si­tivi, però, i numeri rac­con­tano tutt’altro: solo 40 pazienti nel 2013 hanno avuto accesso a quella terapia.

Gli osta­coli sono in primo luogo di natura cul­tu­rale: il per­so­nale sani­ta­rio non è ade­gua­ta­mente infor­mato e medici e far­ma­ci­sti il più delle volte sono rilut­tanti a for­nire i can­na­bi­noidi. A ciò si aggiunge un iter buro­cra­tico com­plesso e far­ra­gi­noso. Al pre­sente, que­sta la pro­ce­dura: medico curante, azienda sani­ta­ria, mini­stero della Salute, mer­cato estero, impor­ta­zione, far­ma­cia ospe­da­liera e infine paziente. Ciò porta il costo del pro­dotto a livelli altis­simi, così che un mese di assun­zione del far­maco può com­por­tare una spesa di molte cen­ti­naia di euro. L’esito è che ancora oggi troppi pazienti si rifor­ni­scono al mer­cato nero.
In con­clu­sione, si può dire che que­sta vicenda, e il suo pro­ba­bile risul­tato posi­tivo, sono som­ma­mente istrut­tivi: se anche l’uso tera­peu­tico della can­na­bis è tut­tora gra­vato da un tabù così pesante da impe­dirne la piena uti­liz­za­zione, si può ben capire per­ché una ragio­ne­vole lega­liz­za­zione per uso ricrea­tivo incon­tri tanti osta­coli. Non è un caso che nel momento stesso in cui sem­bra accer­tato il con­senso del mini­stro della Salute alla pro­du­zione di can­na­bis medica, il primo inte­resse di Bea­trice Loren­zin sem­bra quello di affer­mare la sua irre­si­sti­bile, imper­mea­bile e inos­si­da­bile oppo­si­zione a ciò che ella chiama «libe­ra­liz­za­zione». Ci cascano le brac­cia.
E’ da quarant’anni che gli anti­proi­bi­zio­ni­sti insi­stono su un punto cru­ciale: quello vigente oggi in Ita­lia è pro­pria­mente un regime di libe­ra­liz­za­zione. Ovvero un sistema che per­mette a chiun­que, a qua­lun­que ora del giorno e della notte, in qual­siasi via o piazza di qua­lun­que città, di acqui­stare una qual­si­vo­glia sostanza stu­pe­fa­cente presso un’estesa rete di eser­cizi com­mer­ciali: gli spac­cia­tori. Come si vede, un vero e pro­prio regime di libe­ra­liz­za­zione (illegale).

All’opposto, ciò che vor­remmo è una nor­ma­tiva di rego­la­men­ta­zione uguale a quella adot­tata per altre sostanze per­fet­ta­mente legali e il cui abuso pro­duce danni assai mag­giori di quelli deter­mi­nati dall’abuso di deri­vati della can­na­bis. Dun­que, pro­du­zione, distri­bu­zione e com­mer­cia­liz­za­zione a carico dello Stato, con ade­guata tas­sa­zione, e con limiti e vin­coli. Ma è dav­vero così dif­fi­cile intenderlo?



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