Alexis Tsipras presenta il programma di governo
Il presidente del partito della sinistra radicale greca Alexis Tsipras nel fine settimana a Salonicco, ha presentato il nuovo volto governativo di Syriza. «Vogliamo elezioni politiche al più presto– ha detto– perché più il governo del conservatore Antonis Samaras rimane al suo posto più si aggrava la crisi umanitaria che colpisce gli strati popolari e più si rende difficile la ripresa e l’uscita dalla crisi».
Per la prima volta Tsipras ha affrontato il problema economico che finora ha condizionato l’espansione di Syriza nella società greca. Da tempo la sinistra chiede una conferenza europea sul debito (ormai al 175% del Pil) con l’obiettivo di tagliarne gran parte e condizionare il pagamento di quello che resterà allo sviluppo del Pil. Si promette un negoziato duro e dall’esito incerto. Nel frattempo, però, che avrebbe fatto il futuro governo anti-austerità? Dove avrebbe preso i soldi? Che non fosse una domanda polemica, ma reale, lo dimostra il fatto che l’aveva posta con chiarezza anche il neoeletto deputato europeo di Syriza, l’ultranovantenne eroe della resistenza Manolis Glezos.
Tra sabato e domenica è arrivata la risposta. Non si chiederanno nuovi fondi europei e non si faranno nuovi debiti. Saranno fondi già esistenti nelle mani del governo, non utilizzati oppure indirizzati verso speculazioni bancarie. Sono gli 11 miliardi in mano al Fondo di Stabilità Finanziaria, un organismo pubblico imposto dalla troika (Commissione, Fmi, Bce) nel 2012 per garantire la ricapitalizzazione delle banche greche, più 4,5 miliardi provenienti dai fondi regionali europei. L’obiettivo è duplice: da una parte fare fronte alla catastrofe sociale che hanno provocato quattro anni di austerità: dare corrente elettrica a 300 mila famiglie sotto la soglia della povertà e fornire buoni pasto, rendendo istituzionale l’opera assitenziale che già svolgono la maggioanza dei Comuni, la Chiesa ortodossa e le Ong.
Usare i tanti immobili vuoti e abbandonati, sia pubblici sia privati, per dare un tetto a 25 mila famiglie e ripristinare l’assistenza sanitaria gratuita per tutti. Il tutto ad un costo di due miliardi. Il secondo obiettivo è più importante: ridare fiato all’economia che nel 2014 chiuderà, per il sesto anno consecutivo, in recessione. Un primo passo è togliere il carico fiscale imposto dalla troika alla classe media. Alle già pesanti imposte sugli immobili in vigore dal 2010, in agosto il governo ha pensato bene di aggiungere una nuova tassa, basata sul valore catastale del lontano 2005. Il risulato è un’ondata di sequestri cautelativi di prime case e di conti bancari per contribuenti che, anche volendo, non sono in grado di pagare. Il totale dei debiti dovuti al fisco ammonta a ben 92 miliardi e non c’è alcuna speranza di incassare tale somma in un paese in ginocchio.
Dall’altra, il governo si è distinto nel favorire l’evasione fiscale, evitando accuratamente di indagare su chi aveva conti milionari in Svizzera e condonando le tasse dovute ad armatori e imprenditori amici. Non è un segreto che perfino la troika ha insistentemente redarguito le autorità greche per la loro incapacità a tassare i grandi contribuenti. Pochi giorni fa Christine Lagarde ha dichiarato pubblicamente che, a causa della sua insistenza a porre la questione al governo greco, ha ricevuto «minacce di morte».
Tsipras calcola che, dei 92 miliardi dovuti, escludendo coloro che non hanno da pagare, alla fine il suo governo ne incasserà 20. Somma che sarà subito immessa nel mercato, aumentando il minimo salariale dagli attuali 430 a 750 euro, in modo da dare nuovo impulso alla domanda. Sostegno all’occupazione, ma anche all’imprenditoria locale. Le industrie dello zucchero, sane e con accesso ai mercati esteri, non saranno né privatizzate né chiuse. Così nell’agroalimentare, nell’energia, nei servizi.
L’apparizione del giovane leader nel capoluogo macedone è stata sorprendente. Abbandonate le velleità massimaliste del vecchio Syriza (quello del 4,5%) Tsipras è apparso come un leader responsabile, misurato e deciso. Ha parlato con il pragmatismo del prossimo capo del governo: «Non vogliamo abbandonare l’eurozona e non c’è alcun pericolo di venirne espulsi», ha detto: «I partner comunitari sono pronti a discutere seriamente con il nuovo governo di sinistra e a condurre quelle trattative che nessun governo greco ha mai fatto».
Lo ha verificato di persona nelle discussioni che ha avuto due settimane fa al Forum di Cernobbio: «In Europa ormai si parla apertamente della possibilità che si faccia fronte alla deflazione con una politica espansiva, magari con un vasto programma di piani europei di investimento». Syriza alle elezioni di Strasburgo ha consolidato la percentuale del 27% che aveva ottenuto nelle politiche di due anni prima. Un buon risultato: la sinistra è il primo partito del paese. Ma non basta per governare. Bisogna dare risposte precise a quel ceto medio disastrato economicamente e rimasto orfano in politica, tradito dalla svolta ultraliberista dei socialisti del Pasok.
«Con le percentuali di oggi non ce la facciamo– ha ammesso Tsipras – I cittadini devono prendere le loro responsabilità. Se loro non si mobilitano nelle piazze e nelle urne, allora questo programma di rinascita economica rimarrà sulla carta». Il rafforzamento elettorale di Syriza è fondamentale. A sinistra i comunisti del Kke (6,5% alle europee) non sono disposti a sostenere Tsipras e i piccoli schieramenti anti-austerità danno segni di sfaldamento. Syriza rischia di vincere ma non avere alleati in Parlamento.
Il premier Samaras rimane aggrappato alla poltrona e spera di superare indenne le secche delle elezioni presidenziali di fine febbraio. Per eleggere il nuovo capo dello Stato ci vogliono 180 deputati su 300, la maggioranza ne ha solo 160. Se il Parlamento non ce la farà, allora si va alle urne. E i sondaggi sono spietati: la destra di Nuova Democrazia perderà altri 4–5 punti, il Pasok pure. L’obiettivo di Tsipras è convincere tutti questi elettori indecisi e arrabbiati a dargli fiducia. Non devono avere paura: non saranno i comunisti a prendergli la casa ma le banche.
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