508. Una notte sul bus della paura dove si sfidano neri e italiani “Ma non è una guerra tra poveri”

508. Una notte sul bus della paura dove si sfidano neri e italiani “Ma non è una guerra tra poveri”

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ROMA. «SEI mai salito di notte sul 508? Provaci, ascolta quei pendolari che da una vita sopportano questo schifo pagando l’abbonamento e poi ne parliamo!». Questo invito a chi fa informazione è apparso nella bacheca dei commenti relativi a un intervento su un fatto di cronaca. Per due volte, come riportato dalla stampa nazionale, un autobus diretto dal confine di Roma all’estrema periferia è stato assaltato da gruppi di immigrati: vetri sfondati, autisti minacciati. Ne sono seguite proteste contro la presenza straniera, ronde, qualche ulteriore violenza. La frazione di Corcolle è divenuta sinonimo di un esplosivo a miccia lunga; quell’autobus, il mezzo che lo trasporta. «Sei mai salito sul 508?». A pochi giorni dall’incidente raccolgo l’invito. Raggiungo con la metropolitana Ponte Mammolo e da qui il capolinea dell’Atac. Una decina di persone attende con pazienza, sporte di plastica, borsette impreziosite da una civetta di strass, sacchi trasparenti stracolmi di rotoli di carta igienica. I muri sono pieni di scritte. “Figli della stessa rabbia”, seguita da falce e martello. A fine percorso leggerò: “No ai neri”, con una svastica, ma al contrario. Quella che le riassume tutte è: “Vita puttana”, senza alcun simbolo. L’autobus arriva in ritardo, i passeggeri salgono sbuffando, il conducente scende. Alle proteste risponde: «Prima d’essere autista sono una persona umana io, dovete capi’!». Gli unici comprensivi sono due suoi colleghi fuori servizio che tengono bastoncini di liquirizia a lato della bocca come sigari spenti e guardano gli immigrati con le montagne di carta igienica scuotendo la testa: «A noi, questi ce toccano». L’attesa della partenza è una babele di voci al cellulare: ognuno viaggia solo e parla con qualcuno lontano, in moldavo, nigeriano, pakistano e, perfino, italiano. Non occorre essere poliglotti per intuire che l’argomento unico è la fatica di sopravvivere. Non quella di vivere, quella è un lusso che transita altrove. La password universale qui è “euro”, preceduto da numeri molto bassi in qualunque lingua. Poi: “bollettino”, “interessi passivi”, “ritardo”. L’autista risale e prova a mettere in moto, fallendo più volte e invocando a vario titolo «la Madonna addolorata» prima di riuscirci. Solo allora due donne che fumavano sulla banchina si affrettano per infilarsi tra le porte in chiusura. Una è nera, l’altra bianca. Il commento è: «St’africani: fanno come gli pare». «Ma noi italiani se lo diciamo siamo cattivi». «Meglio star zitti, che nessun governo ci difende ». «Specie adesso, dopo quel che è successo». In realtà, di voci se ne sono alzate.
Poche ore prima ho ascoltato Rtr 9-9, una radio locale che, almeno sui taxi di Roma, la mattina è diventata più popolare di quelle del tifo. Va in onda un programma chiamato “Cor veleno”. Conduce Luca Casciani, erede di una tradizione di tribuni politicamente scorretti. Difende appassionatamente i marò e Daniele, il minorenne di Torpignattara accusato per aver ucciso con un pugno un immigrato ubriaco che gli aveva sputato in faccia. Attacca, tra gli altri, il sindaco Marino («Corca, che ha telefonato all’autista assalita»), i registi compassionevoli di sinistra («prenditi un migrante in casa a Coppedè ») e lo chef Carlo Cracco («per coerenza, non può fare la pubblicità alle patatine»). Il punto non è quanti ascoltatori abbia (non pochi) o quanti like su Facebook, ma se il suo pensiero sia rappresentativo, se si stia diffondendo. Sulla vicenda dell’assalto all’autobus queste sono le sue parole, trascritte dal podcast: «Voi quaranta che avete aggredito un’autista donna siete in Italia a scrocco, rappresentate un problema e avete il coraggio di protestare? Qui servirebbe il matto, uno che tiene in macchina una mitragliatrice e ne fa fuori trentaquattro. Erano quaranta, se ne salvano sei? Il problema è quello: che se ne sono salvati sei. Sei che hanno cercato di distruggere un mezzo della collettività che li mantiene, brutte sanguisughe. Fossero morti affogati in quel che chiamano il canale di Sicilia, sarebbero quaranta bastardi in meno che aggrediscono un’autista dell’Atac». Segue la precisazione che questo non ha «nulla a che vedere con il razzismo», che «bastardo», «scimmia» è chi compie questi atti, a prescindere dal colore della pelle. Queste e altre opinioni simili lo speaker rivendica, non parlerebbe mai di «estrapolazione da un contesto» come fanno i politici che critica.
Per “par condicio” riporto un commento letto nella bacheca citata all’inizio, scritto in risposta a un utente avvelenato, in un italiano incerto: «Razzista, spero la guerra ti porti a dover emigrare e morire in mare nell’intento di andare a far l’America come gli italiani nel Novecento ».
Divisa tra due mari di risentimento corre la strada del 508, accompagnata da una costante: monnezza. È come fosse un guardrail: spazzatura a mucchi sulla Prenestina, sulla Polense, a Roccalumera. Spesso si addensa in prossimità delle fermate, creando una contro-fioriera intorno alla palina. Talora le fa compagnia una prostituta arrivata da Est, in attesa sul ciglio della strada, o seduta a fianco di un cumulo. All’imbocco di una laterale un cartello invoca: “Ritirate l’immondizia anche in questa via, grazie”. La domanda è: anche? Dove altro lo fanno?
«Dottor Fortini, presidente dell’Ama, è mai salito sul 508?».
Attacco discorso con la mia vicina, un’anziana pendolare sfinita dall’elenco di preoccupazioni appena riversate al telefono.
«Tanto so già che cosa scriverà: che è una guerra fra poveri. Poi ve ne fregherete. A voi piacciono di più le guerre fra ricchi, di quelle sì che parlate».
Tipo?
«Berlusconi e sua moglie. O Montezemolo e quell’altro col maglione. Lì chi ci perde vince trenta milioni di euro, invece io ne guadagno seicento al mese e mi faccio tutti i giorni tre ore di questo autobus».
A Tor Tre teste sta scritto sul muro: “Morte ai ricchi”.
Salgono due neri con gli occhiali a specchio e lo smartphone. Uno ha sul display del cellulare la propria immagine a torso nudo. Sembrano usciti da un video di Kanye West più che da questo viottolo tra il “Parco della Mistica” e l’indicazione “Uova ruspanti”. Nel portale d’informazione Dinamo un cittadino che ha scelto per pseudonimo Anteo Zamboni, il ragazzo che cercò di uccidere Mussolini e fu linciato, ha dato una versione alternativa degli assalti agli autobus per Corcolle: «È uso comune di non pochi autisti non fermarsi quando in attesa ci sono parecchi migranti. Di qui la reazione ». Comunque eccessiva e ingiustificabile. La redazione del portale, subissata da messaggi furibondi, afferma che il mancato stop «è stato confermato da diversi sindacati, ritenendo il comportamento inaccettabile e chiedendo al contempo condizioni migliori per i conducenti ». Quando lo chiedo a quello del “mio” 508 e ai suoi colleghi la risposta è: «Quanti neri hai visto alle fermate? Venti? E quanti ne abbiamo caricati? Venti. Poi se, al buio, qualcuno non lo vedi, può capitare. Stamo a scherza’, eh?».
Ciò su cui non puoi scherzare è la vita agra di tutti quelli che, italiani o extracomunitari, bianchi o neri, percorrono questa tratta ogni giorno per andare a lavorare o, peggio per cercare un lavoro al posto di quello perduto. L’insofferenza ha molte cause, non necessariamente lo sfogo deriva da quella principale. Questo autobus trasporta un universo di frustrazioni, delusioni, speranze perdute nel corso degli anni e delle migrazioni e al finestrino fa scorrere montagne di spazzatura, costruzioni dalla dubbia legittimità, traffico perfino nella campagna. Quando un’amministrazione si convince che Roma sia quella che gli americani vedono all’Oscar e tutti gli altri nelle gite organizzate governa dove sono accese le luci e non s’accorge dell’oscurità che avanza.
«Sindaco Marino, è mai salito sul 508?».
Nel caso, con la scorta.


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