UNA VOCE EUROPEA NELLE CRISI DEL MONDO
LA CRISI ucraina è sfuggita di mano ai suoi ideatori. Nelle intenzioni di Obama, scopo del cambio della guardia a Kiev era “ to keep Putin honest”: ricordare al capo della Russia quale fosse il suo posto, dopo che su troppi dossier — Egitto, Siria, Snowden — si era preso libertà eccessive. Colto di sorpresa dalla fuga di Janukovich, il leader del Cremlino aveva prima cercato di limitare la sconfitta rimettendo le mani sulla Crimea, eccitando il parossismo iperpatriottico che sempre anima i russi quando si sentono aggrediti e alimentando la guerriglia separatista nell’Ucraina dell’Est per arrivare a un compromesso accettabile con Poroshenko. Sia Obama che Putin hanno perso il controllo dei rispettivi agenti in Ucraina, attenti ai propri interessi prima che a quelli dei loro presunti manovratori. Washington e Mosca rischiano ora la collisione frontale.
C’è un altro piano di competizione su cui si giocherà la scelta dei Grandi fra compromesso e scontro. Forse il più importante, talché i protagonisti lo tengono semicoperto. Si tratta della riscrittura delle regole del commercio mondiale. Dove si gioca il destino del dollaro, vera arma strategica di Washington. La crisi economica sembra aver infranto la prospettiva del libero scambio globale verso cui erano indirizzati i fallimentari round negoziali dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Gli Stati Uniti hanno promosso due iniziative parallele — la Trans-Pacific Partnership (Tpp) e la Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) — destinate a riaffermare la loro egemonia geoeconomica sul pianeta. L’obiettivo è codificare i termini degli scambi di merci, capitali e persone su scala globale, prima che siano i Brics e altri “emergenti” non occidentali a farlo.
Non potendo né volendo produrre un accordo globale, Obama ha optato per due aree economiche (molto più che di libero scambio) centrate sull’America: quella dell’Asia-Pacifico, che esclude la Cina, e quella euroatlantica, senza la Russia. Operazioni entrambe geopolitiche, seppure in veste mercantile. La Tpp intende premere sulla Cina nel contesto della strategia di contenimento. La Ttip vuole rilanciare il nesso transatlantico, non più operabile solo via Nato.
In questa partita a noi europei spetta una responsabilità speciale. L’Unione Europea è un blocco commerciale di dimensioni analoghe agli Stati Uniti e alla Cina. I negoziati sul commercio sono l’unico dossier sul quale l’Ue esibisce, o tenta di esibire, una facciata unitaria. Impigliarci nel gioco dei protezionismi selettivi e delle sponde bi- o trilaterali sarebbe per noi punitivo. La compartecipazione sia pure indiretta alla disintegrazione della Russia e/o al contenimento della Cina, demenziale. Esiziale, infine, la rottura con gli Stati Uniti. Lacerare l’esile vincolo occidentale sancirebbe la nostra regressione a bellicosi istinti xenofobi.
L’unico esito positivo di questa crisi è la gestazione di un soggetto europeo sovrano, vincolato paritariamente agli Stati Uniti, avanguardia occidentale dello sviluppo eurasiatico. Possibile solo seguendo logiche inclusive, aperte a tutti i partner disponibili, cominciando da Russia e Cina.
Di sicuro, noi europei non possiamo accomodarci all’inerzia che invita al conflitto permanente fra le maggiori potenze. Su Ucraina e Ttip abbiamo il dovere e il diritto di dire la nostra. Ma solo dopo aver ricomposto la sparsa tribù euroatlantica attorno a una linea ragionevole. Altrimenti, converrà ammettere che l’Europa è nuda. E stabilire che nessuno ha diritto di usarne come foglia di fico per i propri interessi particolari. Ognuno si assumerà le responsabilità che gli competono. Se l’Italia non lo farà, non avrà più titolo a considerarsi parte attiva della scena internazionale. Dunque a esistere.
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