Unire le voci contro la terza guerra mondiale

Unire le voci contro la terza guerra mondiale

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Una grande, gran­dis­sima, mar­cia per la pace. Da Peru­gia ad Assisi. Nei luo­ghi che più di ogni altro hanno dato forza e voce alla domanda popo­lare di pace e di giu­sti­zia, di disarmo e non­vio­lenza. E’ que­sta la prima cosa con­creta che forse pos­siamo fare coral­mente con­tro la Terza guerra mon­diale in corso. Papa Fran­ce­sco non poteva sce­gliere un’espressione più effi­cace per descri­vere lo stato del mondo in cui viviamo. E ora che nes­suno può più smi­nuire la tra­gica realtà delle cose, dob­biamo fare i conti con le nostre respon­sa­bi­lità.
Di fronte alle ipo­cri­sie e alla debo­lezza della poli­tica, all’inazione e alle com­pli­cità di coloro che avreb­bero la respon­sa­bi­lità di agire, davanti alla pro­fonda crisi delle isti­tu­zioni e della demo­cra­zia a cui ci siamo sem­pre appel­lati, dob­biamo sen­tirci tutti più coin­volti e cor­re­spon­sa­bili. Il peri­colo che avanza sul piano mon­diale è grande e nes­suno sarà in grado di pro­teg­gerci se, noi per primi, non sapremo costruire una poli­tica dav­vero nuova: una poli­tica di pace.
Papa Fran­ce­sco ha evo­cato un mondo in guerra dove si com­met­tono le più spa­ven­tose cru­deltà con­tro bam­bini, donne, uomini e intere popo­la­zioni. Ha sol­le­ci­tato l’intervento imme­diato della tanto bistrat­tata Orga­niz­za­zione delle nazioni unite, ha ricor­dato il dovere della comu­nità inter­na­zio­nale di pro­teg­gere i più vul­ne­ra­bili, ha messo all’indice l’interventismo armato di que­sto o quel governo che pre­tende di fare da solo per i pro­pri inte­ressi, ha con­dan­nato ancora una volta il disa­stroso metodo della guerra e dei bom­bar­da­menti ma ha anche messo in gioco sé stesso: ha detto «sono dispo­ni­bile ad andare in Iraq». Ed è stata un’altra, l’ennesima, grande lezione, reli­giosa e laica, umana e poli­tica di respon­sa­bi­lità.
Di que­sta lezione dob­biamo far tesoro tutti ma per­ché non sia solo un auspi­cio dob­biamo comin­ciare noi. Que­sto è il tempo in cui cia­scuno deve met­tersi in gioco. Ci sono mille modi per farlo. Ma poi c’è un giorno, il pros­simo 19 otto­bre, in cui pos­siamo fare una cosa tutti insieme. Unire le nostre voci, le nostre facce, le nostre gambe, pre­oc­cu­pa­zioni, denunce, domande, pro­po­ste e spe­ranze e dare corpo ad una grande mani­fe­sta­zione di pace.
A que­sto pos­siamo dedi­care i 60 giorni che ci sepa­rano dal pros­simo 19 otto­bre. A dif­fon­dere l’invito, via inter­net, di città in città, scuola per scuola, casa per casa. Per­ché cia­scuno possa sce­gliere di esserci in prima per­sona. Molti hanno già ade­rito e si stanno impe­gnando ad orga­niz­zare la par­te­ci­pa­zione, i pull­man, il viag­gio. Ma molto di più si potrà otte­nere se cia­scuno deci­derà di fare la pro­pria parte met­tendo a frutto le pro­prie capa­cità e com­pe­tenze. Con­tro tutte le guerre visi­bili e invi­si­bili, quelle com­bat­tute con le armi e quelle che si com­bat­tono in campo eco­no­mico e finan­zia­rio con mezzi altret­tanto distrut­tivi di vite umane.



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