St. Louis, in scena una guerra di classe

by redazione | 20 Agosto 2014 8:24

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La rivolta di Fer­gu­son, in Mis­souri, sarà un punto di svolta nella lotta con­tro l’ingiustizia raz­ziale, oppure una pic­cola nota a piè di pagina in qual­che tesi di dot­to­rato sulle sol­le­va­zioni civili nei primi anni del XXI secolo?
La rispo­sta può essere tro­vata nel mag­gio del 1970. Avrete sen­tito par­lare della spa­ra­to­ria della Kent State: il 4 mag­gio 1970 la guar­dia nazio­nale dell’Ohio aprì il fuoco sugli stu­denti in pro­te­sta alla Kent State Uni­ver­sity. In 13 secondi di spa­ra­to­ria, sono stati uccisi quat­tro stu­denti e nove sono rima­sti feriti.

Lo shock e il cla­more sfo­cia­rono in uno scio­pero nazio­nale di quat­tro milioni di stu­denti che chiu­sero più di 450 cam­pus. Cin­que giorni dopo la spa­ra­to­ria, 100.000 mani­fe­stanti si riu­ni­rono a Washing­ton: la gio­ventù del paese si mobi­litò ener­gi­ca­mente per porre fine alla guerra in Viet­nam, al raz­zi­smo, al ses­si­smo e alla fidu­cia cieca nelle isti­tu­zioni politiche.

Pro­ba­bil­mente non avete sen­tito par­lare della spa­ra­to­ria a Jack­son State. Il 14 mag­gio, dieci giorni dopo che la Kent State aveva infiam­mato la nazione, alla Jack­son State Uni­ver­sity nel Mis­sis­sippi, in pre­va­lenza nera, la poli­zia uccise a fuci­late due stu­denti neri (un liceale e il padre di un bam­bino di 18 mesi) e ne ha feriti altri dodici.
Non c’è stato alcun cla­more nazio­nale. Il paese non si è affatto mobi­li­tato. Quel levia­tano senza cuore che chia­miamo Sto­ria ha inghiot­tito l’intero evento, can­cel­lan­dolo dalla memo­ria nazio­nale. Se non vogliamo che anche l’atrocità di Fer­gu­son sia inghiot­tita e diventi niente più che un’irritazione inte­sti­nale della sto­ria, dob­biamo affron­tare la situa­zione non solo come un altro atto di siste­ma­tico raz­zi­smo, ma come ciò che è: guerra di classe.

Foca­liz­zan­dosi solo sull’aspetto raz­ziale, la discus­sione diventa se l’assassinio di Michael Brown (o quelli degli altri tre uomini neri disar­mati uccisi dalla poli­zia negli Stati Uniti nel giro di un mese) riguarda la discri­mi­na­zione o se la poli­zia è stata giu­sti­fi­cata. Allora discu­te­remo se non c’è negli Stati uniti tanto raz­zi­smo dei neri con­tro i bian­chi quanto ce n’è dei bian­chi con­tro i neri. (Sì, c’è. Ma, in gene­rale, quello dei bian­chi con­tro i neri ha pesanti con­se­guenze sul futuro della comu­nità nera. Quello dei neri con­tro i bian­chi non ha quasi nes­sun impatto sociale misurabile.) (…)

Que­sto distrae l’America da una que­stione più ampia, cioè che gli obiet­tivi di ecces­siva rea­zione poli­zie­sca sono meno basati sul colore della pelle e più su una cala­mità che è per­fino peg­gio dell’ebola: l’essere poveri. Ovvia­mente, per molti in Ame­rica essere una per­sona di colore è sino­nimo di essere poveri, ed esseri poveri è sino­nimo di essere un cri­mi­nale. Iro­ni­ca­mente, que­sta errata per­ce­zione è vera anche tra i poveri. Ed è quello che lo sta­tus quo vuole.

Il rap­porto sul cen­si­mento degli Usa sostiene che 50 milioni di ame­ri­cani sono poveri. 50 milioni di elet­tori costi­tui­scono un potente blocco se fosse orga­niz­zato nel ten­ta­tivo di per­se­guire comuni obiet­tivi eco­no­mici. Dun­que, è cru­ciale per l’1% più ricco man­te­nere i poveri divisi distraen­doli con que­stioni emo­tive come l’immigrazione, l’aborto e il con­trollo delle armi, in modo che non si fer­mino a chie­dersi come siano stati fre­gati per così tanto tempo. Un modo per tenere divisi que­sti 50 milioni è la disin­for­ma­zione. (…) Secondo il rap­porto del 2012 del Pew Research Cen­ter, solo la metà delle fami­glie ame­ri­cane sono a medio red­dito (meno 11% rispetto agli anni ’70). La cosa scon­vol­gente è che meno che mai gli ame­ri­cani cre­dono nel man­tra dell’American Dream, per cui se lavori duro ce la farai.

*Pub­bli­cato su time?.com, tra­dotto da com?mo?n?ware?.org

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