Se Parigi piange Berlino non ride

by redazione | 26 Agosto 2014 9:04

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Avrà forse a que­sto punto ragione Arnaud Mon­te­bourg, mini­stro dell’economia fran­cese, che pro­prio su Le Monde , appena prima che fos­sero noti gli ultimi dati sulla fidu­cia delle imprese tede­sche, dichia­rava che la Ger­ma­nia è ormai presa dalla trap­pola della poli­tica di auste­rità che essa stessa ha impo­sto a tutta l’Europa. Aggiun­gendo che biso­gne­rebbe smet­terla, per gli altri paesi, di alli­nearsi agli assiomi ideo­lo­gici della destra tede­sca. Pec­cato, per altro verso, che la poli­tica del governo tran­sal­pino, almeno sino ad oggi, abbia evi­tato di fare la fac­cia feroce con­tro la stessa poli­tica, mostrando una evi­dente pas­si­vità di fondo, come accu­sano a ragione, sem­pre in que­sti giorni, tre ex-primi mini­stri che fanno parte oggi dell’opposizione di centro-destra del paese. Del resto sem­bra che Hol­lande non sia apparso molto felice delle dichia­ra­zioni recenti del suo impor­tante mini­stro ed in effetti pro­prio per que­ste dichia­ra­zioni il governo Valls è stato costretto a dare le dimissioni.

E’ di ieri la noti­zia dell’indice Ifo (la misura della fidu­cia delle imprese tede­sche) ancora con un nuovo calo nel mese di ago­sto. Siamo ormai scesi al livello di 106, 3 punti, dopo che l’indice di luglio si col­lo­cava, sem­pre in discesa, intorno ai 108,00 punti. Si tratta sol­tanto dell’ennesima noti­zia nega­tiva dopo che nelle ultime set­ti­mane ne abbiamo avute molte altre sulla situa­zione eco­no­mica del paese.

Ricor­diamo un altro indice di fidu­cia, quello Zew, che usando peral­tro una diversa meto­do­lo­gia, segna­lava già a metà ago­sto più o meno lo stesso feno­meno nega­tivo. Ma guar­dando sol­tanto un poco più lon­tano, vale ricor­dare intanto che la Ger­ma­nia, come già il Giap­pone e la Sviz­zera, rie­sce ormai, nelle ultime set­ti­mane, a farsi pre­stare dal mer­cato il denaro a dieci anni all’1%. Una tale misura, appa­ren­te­mente posi­tiva — pen­siamo alla situa­zione ita­liana — indica di per se stessa, per altro verso, una rile­vante debo­lezza dell’economia reale del paese.

Oltre che un livello di infla­zione troppo ridotto. Come com­men­tava qual­che tempo fa sul tema un arti­co­li­sta del New York Times, Swaha Pat­ta­naik, quello dell’1% è un club molto ristretto e sele­zio­nato, ma dal quale è molto dif­fi­cile, ahimè, uscire. Come è noto, negli ultimi anni le ban­che cen­trali dell’occidente hanno soprat­tutto pun­tato a com­bat­tere un’inflazione invece ine­si­stente, men­tre intanto matu­rava, almeno in Europa, una situa­zione defla­zio­ni­stica, in gene­rale molto più dif­fi­cile da combattere.

Paral­le­la­mente biso­gna a que­sto punto sot­to­li­neare come, sem­pre negli ultimi giorni, final­mente la Bce, dopo avere a lungo negato che ci fosse un peri­colo di defla­zione ed assi­cu­rando che la situa­zione era per­fet­ta­mente sotto con­trollo, ora si allarma del trend dei prezzi in Europa – in luglio si regi­stra un anda­mento dello 0,4% su base annua del livello dell’inflazione– e Dra­ghi annun­cia che la banca sta pren­dendo nota di que­sti svi­luppi. Final­mente! Ma cosa verrà fatto di con­creto e quando? La fidu­cia nella Bce non è, di que­sti tempi, ai mas­simi livelli. I dati dell’economia e dell’inflazione indi­cano che il futuro dell’Europa minac­cia sem­pre di più di asso­mi­gliare all’attuale situa­zione giapponese.

Tra i sin­tomi delle pos­si­bile malat­tia tede­sca, sem­pre a metà mese abbiamo appreso, come è noto, che il Pil è dimi­nuito nel secondo tri­me­stre dello 0,2%, come del resto l’analogo indice ita­liano — cosa che sem­bra aver con­so­lato il nostro acuto pre­si­dente del con­si­glio -, men­tre quello fran­cese è rima­sto fermo. Com­ples­si­va­mente le cose non sono andate, più in gene­rale, molto bene per l’economia dell’eurozona. Appare ormai evi­dente a quasi tutti che la stessa euro­zona, dopo una breve pausa in qual­che modo posi­tiva, è tor­nata alla situa­zione di reces­sione avvia­tasi nel terzo tri­me­stre del 2011.

Per­sino la Bun­de­sbank si è ormai accorta che qual­cosa non va; negli ultimi tempi essa appare ner­vosa, mol­ti­plica i segnali di allarme ed è arri­vata ad auspi­care in qual­che modo un aumento dei salari tede­schi. Le nuvole all’orizzonte si fanno scure, come di fre­quente avviene anche d’estate sui cieli di Ber­lino; ma le tur­bo­lenze atmo­sfe­ri­che, a que­ste lati­tu­dini, di solito si allon­ta­nano pre­sto, men­tre quelle sull’economia tede­sca e su quella euro­pea potreb­bero invece essere molto più persistenti.

A com­pli­care la situa­zione si è messa ora, infine, la que­stione ucraina, in par­ti­co­lare con le san­zioni occi­den­tali come con quelle russe. L’industria tede­sca viene col­pita in maniera abba­stanza rile­vante dalla que­stione. Ne sof­frono già l’industria elet­tro­nica, alcuni com­parti della mec­ca­nica, non­ché l’alimentare, ma è toc­cata, più in gene­rale, la tra­di­zio­nale poli­tica di aper­tura del paese; Rus­sia e Cina sono da tempo per la Ger­ma­nia delle pos­si­bili vie di fuga dalle dif­fi­coltà che si pos­sono mani­fe­stare nelle espor­ta­zioni verso la stessa euro­zona, men­tre il paese delle steppe appare anche un part­ner irri­nun­cia­bile sui temi ener­ge­tici. Gli Stati uniti sem­brano sof­fiare sul fuoco del con­flitto, men­tre la Mer­kel sem­bra stia cer­cando di smus­sare gli angoli e di tro­vare delle vie d’uscita. Spe­riamo che ci riesca.

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