Se Parigi piange Berlino non ride
Avrà forse a questo punto ragione Arnaud Montebourg, ministro dell’economia francese, che proprio su Le Monde , appena prima che fossero noti gli ultimi dati sulla fiducia delle imprese tedesche, dichiarava che la Germania è ormai presa dalla trappola della politica di austerità che essa stessa ha imposto a tutta l’Europa. Aggiungendo che bisognerebbe smetterla, per gli altri paesi, di allinearsi agli assiomi ideologici della destra tedesca. Peccato, per altro verso, che la politica del governo transalpino, almeno sino ad oggi, abbia evitato di fare la faccia feroce contro la stessa politica, mostrando una evidente passività di fondo, come accusano a ragione, sempre in questi giorni, tre ex-primi ministri che fanno parte oggi dell’opposizione di centro-destra del paese. Del resto sembra che Hollande non sia apparso molto felice delle dichiarazioni recenti del suo importante ministro ed in effetti proprio per queste dichiarazioni il governo Valls è stato costretto a dare le dimissioni.
E’ di ieri la notizia dell’indice Ifo (la misura della fiducia delle imprese tedesche) ancora con un nuovo calo nel mese di agosto. Siamo ormai scesi al livello di 106, 3 punti, dopo che l’indice di luglio si collocava, sempre in discesa, intorno ai 108,00 punti. Si tratta soltanto dell’ennesima notizia negativa dopo che nelle ultime settimane ne abbiamo avute molte altre sulla situazione economica del paese.
Ricordiamo un altro indice di fiducia, quello Zew, che usando peraltro una diversa metodologia, segnalava già a metà agosto più o meno lo stesso fenomeno negativo. Ma guardando soltanto un poco più lontano, vale ricordare intanto che la Germania, come già il Giappone e la Svizzera, riesce ormai, nelle ultime settimane, a farsi prestare dal mercato il denaro a dieci anni all’1%. Una tale misura, apparentemente positiva — pensiamo alla situazione italiana — indica di per se stessa, per altro verso, una rilevante debolezza dell’economia reale del paese.
Oltre che un livello di inflazione troppo ridotto. Come commentava qualche tempo fa sul tema un articolista del New York Times, Swaha Pattanaik, quello dell’1% è un club molto ristretto e selezionato, ma dal quale è molto difficile, ahimè, uscire. Come è noto, negli ultimi anni le banche centrali dell’occidente hanno soprattutto puntato a combattere un’inflazione invece inesistente, mentre intanto maturava, almeno in Europa, una situazione deflazionistica, in generale molto più difficile da combattere.
Parallelamente bisogna a questo punto sottolineare come, sempre negli ultimi giorni, finalmente la Bce, dopo avere a lungo negato che ci fosse un pericolo di deflazione ed assicurando che la situazione era perfettamente sotto controllo, ora si allarma del trend dei prezzi in Europa – in luglio si registra un andamento dello 0,4% su base annua del livello dell’inflazione– e Draghi annuncia che la banca sta prendendo nota di questi sviluppi. Finalmente! Ma cosa verrà fatto di concreto e quando? La fiducia nella Bce non è, di questi tempi, ai massimi livelli. I dati dell’economia e dell’inflazione indicano che il futuro dell’Europa minaccia sempre di più di assomigliare all’attuale situazione giapponese.
Tra i sintomi delle possibile malattia tedesca, sempre a metà mese abbiamo appreso, come è noto, che il Pil è diminuito nel secondo trimestre dello 0,2%, come del resto l’analogo indice italiano — cosa che sembra aver consolato il nostro acuto presidente del consiglio -, mentre quello francese è rimasto fermo. Complessivamente le cose non sono andate, più in generale, molto bene per l’economia dell’eurozona. Appare ormai evidente a quasi tutti che la stessa eurozona, dopo una breve pausa in qualche modo positiva, è tornata alla situazione di recessione avviatasi nel terzo trimestre del 2011.
Persino la Bundesbank si è ormai accorta che qualcosa non va; negli ultimi tempi essa appare nervosa, moltiplica i segnali di allarme ed è arrivata ad auspicare in qualche modo un aumento dei salari tedeschi. Le nuvole all’orizzonte si fanno scure, come di frequente avviene anche d’estate sui cieli di Berlino; ma le turbolenze atmosferiche, a queste latitudini, di solito si allontanano presto, mentre quelle sull’economia tedesca e su quella europea potrebbero invece essere molto più persistenti.
A complicare la situazione si è messa ora, infine, la questione ucraina, in particolare con le sanzioni occidentali come con quelle russe. L’industria tedesca viene colpita in maniera abbastanza rilevante dalla questione. Ne soffrono già l’industria elettronica, alcuni comparti della meccanica, nonché l’alimentare, ma è toccata, più in generale, la tradizionale politica di apertura del paese; Russia e Cina sono da tempo per la Germania delle possibili vie di fuga dalle difficoltà che si possono manifestare nelle esportazioni verso la stessa eurozona, mentre il paese delle steppe appare anche un partner irrinunciabile sui temi energetici. Gli Stati uniti sembrano soffiare sul fuoco del conflitto, mentre la Merkel sembra stia cercando di smussare gli angoli e di trovare delle vie d’uscita. Speriamo che ci riesca.
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