by redazione | 22 Agosto 2014 17:39
Sul Sole 24 ore del 20 agosto sono apparsi due istruttivi articoli di Donato Masciandaro e Luigi Zingales entrambi, pur con diversi accenti, autorevolmente inseriti nel mainstream del pensiero economico. Entrambi manifestano la preoccupazione per l’accoppiata recessione-deflazione che in Europa sta caratterizzando questa fase della crisi in atto dal 2007–2008 e analizzano cosa potrebbe fare (e non fa) la Bce per uscirne.
Entrambi sottolineano che l’eurozona si trova nella situazione di trappola della liquidità (abbondanza di offerta di moneta e bassi tassi d’interesse che, tuttavia, non stimolano l’attività dei mercati perché la domanda e le aspettative su di essa sono basse) che, giova ricordarlo, è una condizione illustrata da Keynes per evidenziare i imiti non solo della politica monetaria, ma prima ancora dei mercati che non riescono ad attivare la produzione.
Dunque ci sarebbe bisogno di politiche fiscali espansive, ma nell’Ue ciò è ostacolato sia dall’assenza di una politica fiscale comune sia dalle preclusioni alle politiche di bilancio nazionali derivanti dai vincoli comunitari restrittivi (fiscal compact). Entrambi sottolineano che aver creato la Bce in assenza di un interlocutore statale comunitario e averle affidato solo l’obiettivo di lotta all’inflazione e non anche alla disoccupazione, mette la Bce stessa, ma soprattutto l’economia dell’eurozona, in gravi difficoltà rispetto al rilancio della crescita. Entrambi si dichiarano propensi a rimuovere un caposaldo della posizione dominante costituito dal divieto ai governi di contare sul finanziamento monetario della spesa pubblica.
Per superare questi ostacoli, Masciandaro propone che la Bce acquisti titoli di stato e che lo stesso tetto del 2% all’inflazione sia innalzato (temporaneamente). Tuttavia, ritenendo la politica europea ancora incapace a gestire una politica fiscale comune (e i suoi effetti redistributivi), la Bce dovrebbe acquistare titoli emessi solo da stati non europei (non solo americani).
In questo modo si avrebbe un aumento dell’offerta di euro con effetti positivi anche in termini di deprezzamento del suo tasso di cambio, ma – su questo Masciandaro sorvola – la nuova moneta creata dalla Bce andrebbe a finanziare solo il debito pubblico di altri paesi. Zingales fa una proposta ancora più “spregiudicata” rispetto ai fondamenti del mainstream cui appartiene e dei Trattati europei. Ma per non apparire uno “spergiuro”, si “appoggia” ad un paradosso di Milton Friedman secondo cui per sconfiggere la deflazione basta che la banca centrale “lasci cadere il denaro da un elicottero”. Un’ipotesi molto più eterodossa del sotterrare denaro e finanziare chi scava e riempie le buche fatta da Keynes! Tranne che, mentre quello di Friedman è un paradosso rispetto alla sua impostazione analitica che prescrive la “regola aurea” che esclude politiche monetarie (e non solo) espansive perché i mercati sanno crescere da soli, per Keynes, normalmente, i mercati non hanno questa capacità e la politica economica deve regolarmente intervenire per evitare disoccupazione e crisi. Ma Zingales sorvola su questo particolare e, comunque sia, propone che la Bce finanzi la spesa pubblica dei paesi europei ogni qual volta l’inflazione scenda sotto ‘1%; il che significa che avrebbe già dovuto farlo da un pezzo.
Questi sconfinamenti nell’eterodossia e i sempre più frequenti richiami di tutti i commentatori di formazione economica main stream alla necessità di “politiche non convenzionali” confermano le analisi critiche inascoltate rivolte da decenni al modello neoliberista che prescrive la non intromissione delle istituzioni pubbliche nell’attività dei mercati. Vengono anche convalidate le specifiche critiche a come è stata costruita l’Unione europea cioè con un elevato deficit istituzionale e democratico ovvero con una forte carenza della necessaria interazione delle decisioni collettive rispetto a quelle individuali prese nei mercati. La sempre più riconosciuta necessità di sostenere una domanda consistente e stabile anche per consumi — pregiudicata invece dalle accresciute diseguaglianze distributive e dalla precarietà dei redditi da lavoro (la trappola della liquidità dipende pure da questo) — richiama gli effetti controproducenti di aver progressivamente scaricato nei passati decenni la maggiore incertezza generata dai mercati globalizzati sui lavoratori.
In questo contesto di progressivo ravvedimento (magari inconsapevole) imposto dalla realtà della crisi rispetto all’impostazione delle politiche seguite in Europa spiccano, da un lato, la perdurante caparbietà dei responsabili della politica comunitaria e, d’altro lato, la sua condivisione da parte di chi più duramente ne sopporta le conseguenze. Il governo Renzi (“rispetteremo il 3%”) come primo intervento ha aumentato la flessibilità (precarietà) del lavoro, ha elargito i famosi 80 euro (solo ad alcuni fasce di lavoratori, escludendo però anche quelle più bisognose) che non hanno aumentato la domanda di chi li ha ricevuti ma, per finanziarli, ha ridotto altri canali della spesa pubblica e adesso spinge addirittura a prelievi sulle pensioni, e non su quelle private che sono incentivate fiscalmente, ma solo su quelle pubbliche, che già sostengono il bilancio pubblico con un saldo attivo di 24000 miliardi tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali). Esattamente il contrario di “equità e sviluppo”.
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