Ritorno a Villa Literno

by redazione | 24 Agosto 2014 16:39

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LE STORIE di quegli anni sono state rimosse, raccolte in una pubblicistica rada e quasi tutta accademica. Poche le eccezioni, tra cui i preziosi saggi di Giulio Di Luzio Non si fitta agli extracomunitari ( Eir, 2014) e A un passo dal sogno (Besa Editore, 2006). Raccontano, anche, come l’arrivo dei braccianti stranieri iniziò a mettere in crisi il meccanismo criminale. Per esempio raccontano del 4 dicembre dell’86, di quando la camorra uccide Thomas Quaye e Gorge Anang. Trucidati a Castel Volturno, i loro corpi vengono mostrati nel centro del paese a mo’ di esempio: i due ragazzi — si diceva — avevano deciso di fumarsi una canna laddove questo era tollerato solo per i bianchi. Nell’agosto dell’87, sempre a Villa Literno, Fouad Khaimarouni, muratore marocchino, viene lanciato nel vuoto dalla finestra di una palazzina in costruzione dove aveva trovato riparo. Il 30 settembre 1988 il tanzaniano Juma Iddi Bayar viene ucciso a Mondragone: viveva in una proprietà di uomini vicini ai clan. Il 6 aprile 1989 Ben Alì Hassen, tunisino, ventisei anni, viene ammazzato a Casal di Principe: è accusato dai clan di organizzare il reclutamento di immigrati. Il 3 giugno dell’89 a Cancello Arnone ammazzano il trentunenne Abderrhmann Meftah e il 18 il marocchino Baid Bouchaid a Casapesenna, accusato dal pensionato che gli spara di essere andato a vivere troppo vicino alla sua villa. Eppure gli stranieri arrivano perché i caporali al servizio dei grandi gruppi conservieri offrono lavoro. Diventano una miniera anche per l’economia locale. Che inizia a speculare. Le “cucce” in vecchi casolari abbandonati vengono loro affittate a prezzi da hotel, e nelle rosticcerie i neri pagano il doppio mentre per loro nei bar ci sono solo bicchieri di plastica. Quelli portano le malattie.
Jerry Masslo viveva in una masseria abbandonata di Villa Literno quando il 25 agosto 1989 in quattro decidono di rapinare i salari dei braccianti. È un prelievo facile, che “balordi” non camorristi e spesso figli della piccola borghesia locale ogni tanto fanno. Arrivano in motorino all’alba per trovare gli africani ancora intontiti, si mettono una calza in testa e armati urlano ai “negri” di consegnare i soldi. Un ragazzo sudanese prova ad avvertire gli altri di scappare, gli spaccano la testa con il calcio della pistola e gli rubano un milione e mezzo di lire che teneva sotto il cuscino. Decine di ragazzi corrono verso le campagne. Jerry Masslo. Anche lui corre, corre e inciampa ricordano i testimoni, cade quasi in ginocchio davanti ai rapinatori, alza le mani ma non consegna i soldi.
Parla in inglese, una sola domanda: «Why?», perché, e lo chiede ancora e ancora e ancora. Troppe volte. Quattro colpi lo colpiscono all’addome, i rapinatori feriscono anche un ragazzo keniota. Finiti i proiettili scappano sui motorini. Jerry Masslo resta a terra.
La sua morte non passa inosservata come quelle degli altri immigrati. Esiste un momento in cui il sangue si cumula, litri su litri, e supera la linea di invisibilità dello sguardo. L’Italia si accorge dell’immigrazione, più di un milione di persone le cui condizioni di vita sono ignorate. Masslo era un rifugiato politico riconosciuto dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite. Era fuggito dal regime razzista di Pretoria e riparato in Italia grazie all’intervento di Amnesty International che in un comunicato scriverà: «Jerry Essan Masslo è stato ucciso da alcuni bianchi che riteneva più accoglienti di quelli che aveva imparato a conoscere in Sudafrica». L’intera società civile prende posizione, preti sindacalisti amministratori ministri tutti si sentono chiamati in causa. L’indignazione porta alla legge Martelli che per la prima volta regolamenterà l’immigrazione ridefinendo lo status di rifugiato. Masslo muore che aveva trentanove anni. Prima di arrivare a Villa Literno era stato ospitato a Roma, nella casa di accoglienza “La tenda di Abramo”. Aveva partecipato alla sua inaugurazione alla presenza dell’arcivescovo Desmond Tutu. Aveva cantanto Cry Freedom, inno contro l’apartheid. In Sudafrica aveva perso il padre e un figlio, Jeremy, che aveva sette anni, uccisi a Soweto durante una manifestazione. Fu allora che, con suo fratello, decise di scappare. La moglie e gli altri figli fuggono in Zambia. Loro si imbarcano a Cape Town. Il fratello si ammala. Quando la nave fa una sosta in Nigeria, Jerry scende per procurarsi i medicinali. Non lo fanno più risalire, resta lì, vende tutto ciò che ha. Un orologio, un braccialetto d’oro, riesce a comprare un biglietto aereo per l’Italia. Quando atterra a Fiumicino la polizia lo trattiene in aeroporto, ci starà un mese, il tempo di riuscire a far valere la sua condizione di rifugiato politico. L’Italia doveva essere solo una tappa nel suo progetto di nuova vita. Il vero obiettivo è il Canada, certo che laggiù ci sarà pieno riconoscimento dei suoi diritti mentre l’Italia concede l’asilo politico solo ai richiedenti dell’Est europeo. Per questo motivo il rifugiato Jerry Essan Masslo non potrà cercare un lavoro regolare. Ma potrà andare a raccogliere pomodori a Villa Literno per quattordici ore al giorno.
Venticinque anni sono passati. Non sembrano così tanti. La memoria dei sentimenti dilata se stessa incurante della dimensione temporale, vive in un continuo presente. Molte cose sono cambiate e molte sono rimaste immobili. Le accuse generiche nei confronti
degli immigrati sono le stesse di allora. Lo ius soli è un miraggio. Migliaia di ragazzi nascono in Italia, studiano in Italia, vivono formandosi come italiani e ancora non hanno passaporto italiano perché figli di stranieri. Eppure. Nell’Italia del sud, cerniera tra Europa e Africa, i migranti arrivano là dove gli italiani abbandonano, costruiscono lavoro e mercato. Portano diritti. Yvan Saignet, per esempio, ingegnere camerunense, raccoglitore di pomodori in Puglia: è riuscito a ottenere che in Italia venisse introdotto il reato di caporalato. Ed è proprio dalla lotta contro razzismo e caporalato che al Sud sono nate le esperienze politiche migliori. L’impegno del vescovo Nogaro, faro di saggezza nei momenti più duri della storia del casertano. Renato Natale oggi sindaco a Casal di Principe. Dimitri Russo sindaco di Castel Volturno. Castel Volturno è la città più africana d’occidente. Dovrebbe essere un laboratorio prezioso, rischia di essere un ghetto dove anche gli amministratori perbene non riusciranno, soli, a mutare il corso delle cose.
La storia di Masslo non va dimenticata non solo per conservare il dolore per lo spreco di una vita preziosa colma di forza. Ma per mostrare che il percorso iniziato è ancora lontano da compiersi. I conflitti innescati dai flussi migratori sono naturali, innaturale è che in Italia non ci sia ancora una vera strada per stabilizzare la presenza migrante considerandola una risorsa preziosa. Siamo ancora lontani dall’avere un numero importante di imprenditori, medici, poliziotti, africani o di origine africana in grado di nutrire un nuovo percorso di integrazione. L’unica strada per risolvere le contraddizioni è quella semplice da individuare e ardimentosissima da realizzare: il riconoscimento dei diritti. E questo Jerry Essan Masslo lo aveva capito sino in fondo.

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