Reclutatori indagati a Venezia e a Milano Ma è scontro tra giudici

Reclutatori indagati a Venezia e a Milano Ma è scontro tra giudici

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Professano la jihad, reclutano combattenti, li agganciano, li formano, li finanziano. Con un obiettivo: portare uomini nei vari fronti di guerra mediorientali, dalla Siria a Gaza all’Iraq. È questa l’ipotesi della procura distrettuale di Venezia che, come anticipato dal Corriere del Veneto , ha aperto un’indagine ipotizzando il pesante reato di terrorismo internazionale contro cinque fondamentalisti islamici residenti nelle province di Belluno e Treviso e sospettati di essere al centro di una vasta rete di fedeli alla «guerra santa». Ed è questo anche il sospetto dei pm di Milano che stanno indagando su altri quattro presunti «reclutatori» attivi in Lombardia e capeggiati fino a qualche tempo fa da Haisam Sakhanh, un siriano che ha vissuto a lungo fra il capoluogo lombardo e Cologno Monzese e che sarebbe stato avvistato fra i ribelli del regime di Assad in un plotone di esecuzione dietro a sette soldati nudi, inginocchiati con la testa a terra.
Belluno, Treviso, Milano. L’allerta è massima e le indagini si moltiplicano. In Veneto l’impulso all’attività investigativa degli uomini del Ros è venuto dalla vicenda di un imbianchino bosniaco, Ismar Mesinovic, trentottenne di Doboj che viveva nella tranquilla Longarone, dove ha radicalizzato in breve tempo la sua fede fino a decidere di lasciare la moglie, portare con sé il bambino di due anni e mezzo per raggiungere nel dicembre scorso Aleppo. E lì combattere e morire. Il bambino? «Lo stiamo cercando — assicura l’investigatore —. Abbiamo sentito i nonni in Germania ma non l’hanno mai visto. E di lui in Siria non c’è traccia». La moglie di Ismar, una cubana che vive a Ponte nelle Alpi, vive nell’angoscia: «Mi aveva detto che andava da sua madre in Germania a dipingerle le pareti di casa e poi avrebbe proseguito per la Bosnia. A me non ha mai parlato di guerra santa e di terroristi. Non era un fanatico». Per lei è stata tutta una tragica sorpresa: la Siria, la guerra in nome di Allah, la morte e la sparizione di suo figlio. E ora ha paura perché sono venute meno le certezze. La spaventano i «reclutatori», questo gruppetto di integralisti sul quale stanno lavorando sottotraccia gli inquirenti veneti. L’indagine avanza prudente, anche perché in passato i fascicoli sul terrorismo internazionale hanno avuto vita difficile dalle parti della laguna, aperti con qualche arresto e chiusi con nessuna condanna. Uno scontro fra inquirenti e giudici, fra chi parla di terrorismo e chi di guerriglia. Con i primi che ritengono il Nordest un temibile bacino di reclutamento e finanziamento di attentati all’estero e i secondi che smontano tutto «perché non ci sono prove». È il caso della vicenda che ha coinvolto Hussein Saber Fadhil, iracheno titolare di una pizzeria a Padova e di un kebab ambulante a Marghera, considerato dall’accusa un po’ l’uomo di Al Qaeda a Nord Est, arrestato per essere l’ideatore di un attacco al cuore di Bagdad con velivoli ultraleggeri e poi liberato e assolto. «E’ emersa in maniera certa l’intenzione di effettuare attentati…», scriveva la procura di Venezia. «L’attività è interamente collocabile nell’ambito del conflitto armato interno dell’Iraq», ha replicato il giudice Vincenzo Santoro. Inconciliabili. Stesso, tormentato destino la vicenda di quattro algerini di Vicenza accusati di partecipazione alla rete creata in Italia dal Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, arrestati con misura d’urgenza per reclutamento e poi assolti in due gradi di giudizio. Vicende, queste, che hanno consigliato grande attenzione a pm, Ros e Digos.
A Milano si è invece registrata lo scorso gennaio una condanna eccellente: quella a sei anni dell’imam egiziano Abu Omar per aver reclutato adepti pronti al martirio. Ora l’attività di analisi, qui e a Venezia, si è concentrata sulla «radicalizzazione via web» di stranieri cresciuti in Italia. Come Ismar di Longarone, che ha vissuto da musulmano moderato, poi è partito d’improvviso col suo bambino per il fronte, ha imbracciato un fucile ed è morto in nome della jihad.
Andrea Pasqualetto


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