Razzi anti-carro, granate e mitragliatrici, armi dall’ex Jugoslavia al fronte iracheno

by redazione | 19 Agosto 2014 10:08

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ROMA. Finora erano tende, sacchi a pelo, acqua e cibo. Ma presto sui C-130 della 46esima aerobrigata saranno caricate le armi destinate ai peshmerga, nella speranza che possano servire a fermare l’avanzata degli integralisti dell’Isis. Il ponte aereo dell’Aeronautica militare è servito a consegnare 50 tonnellate di aiuti umanitari: ora i vertici della Difesa sono impegnati a individuare in concreto gli armamenti da spedire a Erbil, per i combattenti curdi. Una delle ipotesi prevede che siano mandati mitragliatori e fucili non più utilizzati dalle Forze Armate italiane, di cui però sono ancora pieni molti magazzini. In realtà i combattenti hanno insistito per avere il più presto possibile armamento pesante, così da poter bloccare l’avanzata dei mezzi blindati che l’Isis ha strappato quasi senza combattere all’esercito regolare
iracheno. E la Difesa italiana ha una robusta disponibilità di mitragliatrici Browning oppure di MG 42, considerate armi obsolete per gli standard Nato ma ancora molto efficienti. Non basteranno sicuramente a fermare i carri armati T-55 e forse nemmeno i vecchi PT-76, mezzi anfibi corazzati di produzione sovietica, in mano agli uomini dell’Isis. Ma in realtà contro i tank sono i raid dell’aviazione americana a fare la differenza.
C’è comunque una difficoltà tecnica: i peshmerga hanno disponibilità di armi ex sovietiche, a suo tempo portate via alle truppe di Saddam Hussein. Sono armamenti vecchi, i cui ricambi e soprattutto il munizionamento non è intercambiabile con il materiale Nato. Meno problemi dovrebbero dare le altre attrezzature militari, come i puntatori laser, i giubbotti an-
tiproiettile, i sistemi di comunicazione e quelli anti-bomba.
Un’altra possibilità valutata dal governo è quella di mandare ai combattenti armi sequestrate, in particolare quelle che furono trovate vent’anni fa, durante la guerra nei Balcani, a bordo della nave Jadran Express, partita dall’Ucraina e diretta verso Spalato, ma intercettata nel 1994 nel canale di Otranto e bloccata perché il suo carico violava l’embargo Onu sulle armi. La successiva inchiesta portò all’arresto dell’oligarca russo Aleksander Zhukov, in seguito prosciolto, a cui faceva capo l’organizzazione del traffico. Nella stiva c’erano fra l’altro trentamila kalashnikov AK-47, razzi BM-21, missili controcarro Fagot e granate RPG con i relativi lanciatori. Se il governo, come appare probabile, deciderà di realizzare quest’ipotesi, i guerrieri curdi avranno quello che gli serve per affrontare l’avanzata dell’Isis: i Fagot, per esempio, sono attrezzi temibili con una portata fino a 2 chilometri, dotati di sistema a puntamento automatico, sicuramente in grado di fermare i tank, tanto più se condotti da carristi di scarsa esperienza.
Il materiale sequestrato dalla nave è stivato, in gran parte, nei bunker di “Guardia del Moro”, nell’isola di Santo Stefano, parte dell’arcipelago della Maddalena. Questi depositi sotterranei fino al 2008 facevano parte delle strutture utilizzate dalla Marina Usa per i sommergibili nucleari. E proprio all’isola ieri è arrivato il ministro della Difesa Roberta Pinotti, accompagnata dall’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina. Ufficialmente la visita era per un sopralluogo nei poligoni della Sardegna e ai luoghi sottoposti a servitù militari, compresa dunque l’isola che ospita l’arsenale sequestrato alla nave. Molti però sono convinti che la visita nell’arcipelago servisse anche per un controllo dell’arsenale- bunker di “Guardia del Moro”. Il fatto che quei depositi siano ancora formalmente in affitto alla US Navy renderebbe più semplici gli aspetti legali, perché le armi non sono nella disponibilità dell’Italia, ma della Nato.

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