by redazione | 13 Agosto 2014 9:35
ROMA — L’economia non cresce, i redditi e i consumi stagnano, e i prezzi sono fermi. A luglio, secondo i dati resi noti ieri dall’Istat, i prezzi al consumo hanno fatto segnare un aumento modestissimo rispetto all’anno scorso, di appena lo 0,1%, anche se in molte città italiane i prezzi si stanno riducendo. Lo spettro della «deflazione», dunque, si avvicina, anzi per dieci grandi centri urbani è già una realtà.
Quello di luglio è il decimo mese consecutivo in cui l’inflazione tendenziale resta sotto l’1%, cosa che non accadeva dal 1958-1959. Ma allora l’Italia era sulle soglie del «boom», e il Pil cresceva del 7% all’anno, mentre oggi un’inflazione così bassa si legge come la conferma di una crisi economica profonda, appesantita dal rigore di bilancio, e che rischia di creare ulteriori problemi agli stessi conti pubblici.
Il governo, che ieri ha incassato 7 miliardi cedendo Bot a un anno ad un tasso d’interesse che è il nuovo minimo storico (0,279% annuo), non nasconde le sue preoccupazioni, ma le cose non vanno meglio nel resto d’Europa. In Germania l’indice Zew sulla fiducia degli investitori è sceso per l’ottava volta consecutiva. Domani sono attesi i dati sulla crescita del secondo trimestre di Francia e Germania, e tra gli analisti c’è il diffuso timore di un dato negativo anche lì (in Italia il secondo trimestre si è chiuso a -0,2%). Tanto che il governo di Parigi potrebbe optare per un ulteriore allungamento dei tempi concordati con Bruxelles per raggiungere il pareggio di bilancio.
Di certo, l’inflazione pari a zero, o la deflazione, soprattutto se sommate alla crescita negativa, non aiutano. È vero che la spesa per gli interessi sui titoli di Stato in genere si riduce (anche se su un’ampia porzione di questi resta influenzata dallo spread), ma il costo del debito aumenta a prescindere dai saldi del bilancio. Al momento la variazione già acquisita dai prezzi al consumo per il 2014 è di appena lo 0,3%, ma potrebbe ridursi se anche nei prossimi mesi i prezzi continueranno a mostrare un andamento cedente. Di certo l’inflazione a questi livelli sarà un fattore di cui tener conto nell’aggiornamento delle previsioni sull’economia e nella messa a punto della manovra di bilancio del prossimo anno, alla quali il governo sta già lavorando da qualche settimana.
A luglio il calo dei prezzi rispetto al mese di giugno (-0,1%) è stato influenzato in modo determinante dalla riduzione del costo dei prodotti energetici regolamentati, ma quasi tutte le voci di spesa hanno mostrato andamenti in forte calo, o piatti.
Il cosiddetto carrello della spesa, un paniere composto da generi alimentari e prodotti per la cura della persona e della casa, a luglio costava lo 0,6% in meno rispetto ad un anno fa, facendo registrare la flessione maggiore dall’agosto del 1997 a questa parte. Frutta fresca e verdura costano circa il 10% in meno rispetto ad un anno fa, rispettivamente il 10,1% e l’8,8%. L’inflazione di fondo, calcolata dall’Istat al netto dei beni energetici e dei prodotti alimentari freschi, scende allo 0,6% rispetto allo 0,7% di giugno.
Fra i capoluoghi di regione si registrano riduzioni tendenziali dei prezzi a Torino (-0,4%), Bari e Firenze (-0,3%), Roma e Trieste (-0,2%), Potenza (-0,1%), mentre a Genova e Milano i prezzi risultano fermi rispetto a quelli del mese di giugno dell’anno scorso. Nelle città con più di 150 mila abitanti i prezzi scendono dello 0,7% a Livorno, dello 0,5% a Verona, dello 0,1% a Ravenna e Reggio Emilia. Al contrario, si registrano aumenti dei prezzi, anche piuttosto consistenti, in alcune città come Messina (+1,1% annuo), Bolzano (+1%), Cagliari (+0,8%), Palermo, L’Aquila e Aosta.
Mario Sensini
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