Povertà, la mappa della disperazione in Italia I giovani in vent’anni hanno perso quasi tutto

Povertà, la mappa della disperazione in Italia I giovani in vent’anni hanno perso quasi tutto

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Povertà. Una parola d’altri tempi, uscita forse da un documentario in bianco e nero di persone mal vestite che s’imbarcano su una grande nave, dirette all’altro capo del mondo.
Oggi le cose sono molto diverse, e si può essere poveri anche con il telefonino in tasca: basta non avere di che provvedere in maniera autonoma per sé e la propria famiglia.

L’istituto europeo di statistica, per esempio, misura quante sono le persone a rischio di povertà o esclusione sociale. Un numero che nel 2013 ha raggiunto quota 28,4%, il secondo peggior risultato del nostro paese negli ultimi dieci anni.

Ma come succede spesso in Italia, il singolo dato nasconde una varietà estrema di situazioni. E allora uno dei modi più semplici per capire quanta differenza ci sia, in realtà, è guardare ai dati regione per regione.

La prima cosa che salta all’occhio è la Sicilia, dove è dal 2011 che le persone a rischio povertà sono più di quelle che stanno “bene”: superata ormai la soglia del 50%, è questa – ormai da anni – la regione in cui la situazione è più grave. Due milioni e settecentomila persone, facendo i conti, su un totale di cinque milioni.

In altre aree le cose sono meno negative, ma in pochi anni sono peggiorate in maniera notevole. In Puglia e Molise, per esempio, nel 2009 a rischiare la povertà era circa il 35% della popolazione: valori che oggi sono aumentati – rispettivamente – di 7,8 e 9,6 punti percentuale.

In generale il sud se la cava peggio, ma anche al centro-nord c’è chi fa eccezione: la Liguria. Qui le persone a rischio povertà erano relativamente poche, eppure negli ultimi quattro anni sono quasi raddoppiate.

E se in generale la povertà aumenta quasi ovunque, bisogna arrivare fino a Bolzano per trovare un miglioramento: qui, unica area in Italia, dal 2009 al 2013 è passata dal 12,6 al 12,3%. Magra consolazione anche per i piemontesi, dove la situazione risulta invariata.

Ma chi sono queste persone? Chi ha perso e sta perdendo di più, negli ultimi anni? Per capirlo possiamo ricorrere a un altro indice ISTAT, quello che misura la povertà relativa familiare : esso cioè indica quante sono le famiglie che non possono permettersi spese al di sotto di una certa soglia, e come sono composte.

Chi è allora la persona su cui pesa di più il carico di mantenere una famiglia povera? Coloro che cercano occupazione, innanzi tutto, e poi giovani con meno di 35 anni e lavoratori in proprio – soprattutto al sud; c’è più povertà, inoltre, anche dove si è studiato poco.

E se in generale negli ultimi anni la situazione si è aggravata per tutti, a rimetterci meno sono soprattutto le generazioni più anziane: gli ultra 65enni sono fra i pochissimi per cui la povertà cala, mentre nei pensionati aumenta appena. Nulla a che vedere con la situazione dei giovani, che è peggiorata e peggiorata molto.

In fondo non è complicato: una persona povera è una persona che non guadagna abbastanza. E il sospetto che sia anche una questione generazionale diventa forte se guardiamo proprio ai redditi delle persone a seconda della loro età. Come sono cambiati negli ultimi anni? E guadagnano più i giovani o gli anziani? Scopriamo così che la crisi c’entra solo in parte, e semmai ha solo aggravato una situazione che stava già peggiorando da tempo.

Andiamo per ordine: i dati arrivano dalla Banca d’Italia e riguardano i bilanci delle famiglie italiane fino al 2012 . Uno studio che rende evidente il problema: dal 2006 gli unici redditi relativi (cioè rispetto alla media italiana) a crescere sono quelli di chi ha più di 55 anni. Quelli degli over 65, per esempio, otto anni fa erano poco sotto la media mentre oggi la superano del 15%.

La situazione invece peggiora per tutti gli altri e giù fino ai 30enni, il cui reddito relativo ha preso il colpo più pesante rispetto a vent’anni fa.

La disuguaglianza fra giovani e anziani diventa ancora più evidente se guardiamo alla ricchezza. Da un lato questo non deve sorprendere troppo: lavorando per dieci, venti o trent’anni in più si ha tempo per mettere da parte il proprio denaro – magari comprare una casa che da sola costituisce buona parte della ricchezza degli italiani.

Ma quand’è che troppo diventa troppo? Difficile dirlo a priori, eppure impressiona il calo nella ricchezza relativa dei giovani: dal 1991 è diminuita del 76% mentre quella degli over 65 è aumentata di oltre il 50%. Anche i quarantenni se la passano tutt’altro che bene, con una perdita del 44%.

Certo, dirà qualcuno, reddito e ricchezza degli anziani in qualche modo tornano indietro ai più giovani. È vero. Ecco allora un’intera generazione fondata sulla carità e la paghetta del babbo e del nonno: chiamateli pure bamboccioni.


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