Pil, una vecchia bussola solo ritoccata
Il dibattito sul nuovo Pil è partito a vele spiegate tra nuova serie storica ricostruita fino al 2013, dati del 2014 fino al tanto atteso terzo trimestre ed aggiornamento del Documento di Economia e Finanza. Ci sarà materia prima per i media e per i talk show. Suspense e battute sulla prostituzione e sulla droga che fanno Pil sono assicurate. Ma poco potrà accadere in concreto. Molto probabilmente il livello del Pil si alzerà di una trentina di miliardi.
Il rapporto deficit/Pil si abbasserà di uno o due punti decimali, quello debito/Pil di circa due punti. Variazioni minime, ma con i tempi che corrono meglio di niente e qualche piccolissimo margine di manovra in più per alleggerire la manovra d’autunno.
Naturalmente si tratta di un’operazione puramente contabile e nulla cambierà nella sostanza e nei problemi che assillano disoccupati, pensionati, occupati. Una cosa, però, accadrà certamente: il nuovo Pil sarà, come ha ricordato Enrico Giovannini, un indicatore ancora più lontano di prima come misura del benessere delle persone.
Sarebbe stato meglio correggerlo detraendo i costi ambientali che la sua produzione comporta oppure incorporarvi il lavoro domestico — che oggi non fa Pil — per rendere meglio comparabili i dati di paesi con strutture sociali diverse, ma saremmo andati oltre il concetto di Pil santificato dal mercato. Quindi non ci resta che attendere ed accogliere le integrazioni che saranno apportate, perchè nella logica di un Pil che misura ciò che passa per il mercato esse sono indubbiamente sensate.
Insensato, invece, sarebbe continuare ad adorare questo feticcio soprattutto adesso che, col nuovo maquillage, esso sarà più brutto di prima ed anche più ingannevole: potremo mai essere contenti se il Pil crescerà perché spenderemo più per armamenti e consumeremo più droga?
Ecco allora un’occasione da cogliere: smettiamola di appassionarci al decimale in più o in meno di Pil, prendiamo atto che tanto, con le rughe o dopato, il Pil nelle società avanzate non potrà più crescere con i tassi del passato, cerchiamo, quindi, di andare “oltre il Pil” ridimensionandone la funzione di bussola che orienta le scelte economiche e politiche e dotiamoci di altri strumenti.
I tempi sono maturi. L’Istat ha da poco prodotto il secondo rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes) dal quale sono emerse cose molto interessanti. Ad esempio nella lunga stagnazione che caratterizza la nostra economia è accaduto non solo che, come è arcinoto, i ricchi sono diventati più ricchi ed i poveri più poveri, ma che, nel campo della salute, col protrarsi della crisi sono aumentate le malattie del sistema nervoso, è peggiorato lo stato psicologico, si sono deteriorate abitudini importanti come il consumo di frutta e verdura che diminuisce e la sedentarietà e l’eccesso di peso che aumentano e, nel campo sociale si è ridotta la partecipazione ad attività culturali, la partecipazione sociale e sono peggiorate le relazioni sociali.
Allora non sarebbe il caso di concentrare l’attenzione su questi ed altri importanti aspetti della vita delle persone, sulle scandalose disuguaglianze, territoriali, di generazione e di genere, che si riscontrano nei livelli di istruzione, sull’uscita precoce dal sistema scolastico, sui livelli di competenza alfabetica, numerica, informatica per non parlare, per carità di patria, del lavoro? Oggi è veramente possibile assumere, magari accanto al nuovo Pil, i nuovi indicatori di benessere come bussola per le politiche nazionali e territoriali, definire precisi obiettivi di riduzione delle tante disuguaglianze, utilizzare in modo mirato e controllabile i finanziamenti anche europei per questi fini, spingere la politica ed i politici a parlare di problemi specifici e concreti, ad assumere impegni quantitativi, a misurarsi con essi. E questa potrebbe essere anche una svolta nel rapporto tra politica e cittadini.
Certo resta un problema: il Pil è uno, con un solo numero esprime una forte potenza mediatica e tutti ne parlano come si parla di calcio, anche perché le sue variazioni di decimali sono sempre più simili ai pochi gol delle partite giocate col catenaccio. Quindi, non si riuscirà mai a ridimensionarlo con 134 indicatori raggruppati in 12 domini di benessere come fa il Bes.
Ma aggregare questi indicatori elementari in due o tre macroindicatori o addirittura in uno — il Benessere Equo e Sostenibile – non è impossibile e ci si sta lavorando.
Abbiamo un’opportunità: dotarci di un indicatore quantitativo e di mercato che consenta confronti internazionali corretti, ma nello stesso tempo poter disporre di un indicatore della qualità della vita delle persone. Non sprechiamola.
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