Pensioni, la Tentazione di Tagli e Balzelli i no della Consulta e i Conti sbagliati
Ci risiamo con il contributo di solidarietà sulle pensioni, solo che essendo in tempo di crisi siamo passati da quelle «d’oro» (sulle quali è in corso un prelievo, come spiega il grafico) a non meglio identificate «pensioni alte»; essendo poi in clima di giochi europei si è evocata «l’asticella».
E così, nonostante tale contributo sia stato dichiarato anti-costituzionale, per la terza volta ci si ritenta; nel contempo la povera Inps ha prima mandato qualche centinaio di migliaia di lettere in cui comunicava ai pensionati (allora d’oro) che avrebbe applicato un prelievo di solidarietà (in pratica una tassa non prevista dagli schemi pensionistici vigenti) per ramazzare qualche euro, poi altrettante lettere per dire che avrebbe restituito il maltolto; subito dopo altrettante lettere per dire che ne avrebbe applicato uno nuovo. Per il momento a guadagnare sono state solo le Poste. Su questo tema occorre buon senso e conoscenza della materia che la gran parte di coloro che oggi avanzano proposte, non sembra padroneggiare a pieno. Demagogia perché affrontare lo spinoso tema di chi non versa contributi e delle troppe pensioni a carico dello Stato è impopolare mentre prelevare a chi ha crea molti consensi.
Prestazioni e categorie
Andiamo con ordine rispetto alle dichiarazioni fatte da esponenti di governo o vicini ad esso: a) si è detto che tale contributo graverà solo sulle pensioni «retributive»; forse non si sa che oggi oltre il 98% delle pensioni sono retributive e quindi il balzello graverà su quasi tutte. b) il contributo di solidarietà verrebbe applicato sulla differenza tra una pensione calcolata con il metodo contributivo e quella in pagamento che utilizza il più generoso metodo retributivo; purtroppo tale calcolo è a volte impossibile (soprattutto per le contribuzioni ante 1980 e per le categorie agricole e autonomi) e di difficile realizzazione per il semplice fatto che per molte categorie mancano estratti conti contributivi corretti come per i dipendenti pubblici, che peraltro hanno le prestazioni di gran lunga più generose. c) E anche qualora si incaricasse l’Inps di fare questi calcoli su 23.431.000 prestazioni in pagamento riferite ai 16.561.600 pensionati (ogni pensionato in media prende 1,39 pensioni) si scoprirebbe che non solo il metodo retributivo ma l’intero sistema pensionistico è per gran parte assistenziale.
Metodo e promesse
Tutte le pensioni, chi più chi meno hanno importi superiori a quelli che deriverebbero dal calcolo dei contributi effettivamente versati a causa del metodo di calcolo retributivo (di Brodoliniana memoria) che incentivava a evadere i contributi tanto contavano solo gli ultimi 1 (per i pubblici) 5 o 10 anni; per tutte queste pensioni al di sotto di un importo variabile a secondo della categoria, c’è un contributo della Gias (Gestione interventi assistenziali a carico della fiscalità generale)- Ben 4.733.031 prestazioni sono di natura assistenziale di cui 3.726.783 integrate al minimo e le altre con maggiorazioni sociali; a queste vanno aggiunte oltre un milione di pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra. Trascurando i quasi 2 milioni di assegni di accompagnamento (che sarebbe utile verificare) su 16,561 milioni di pensionati quasi 6 milioni (il 36%) hanno pensioni integrate o con maggiorazioni sociali il che significa che in 65 anni di vita non sono riusciti a versare almeno 15 annualità complete di contributi (e quindi non hanno pagato neppure le tasse) e ciò in virtù del metodo retributivo e delle promesse dei vari governi.
Modello assistenziale e Irpef
La riprova la ritroviamo nei bilanci previdenziali: su 274 miliardi di spesa pensionistica per il 2012, la quota a carico dello Stato e quindi di tutti noi è pari a 83,6 miliardi (oltre il 30%); vale poi la pena di osservare che 8.602.164 prestazioni pensionistiche di natura assistenziale (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, assegni e pensioni sociali, pensioni di invalidità e di guerra, (in totale il 52% dei pensionati) sono esentati dal pagamento dell’Irpef mentre è plausibile stimare che circa il 50% dell’Irpef totale sulle pensioni (46 miliardi) pesi su meno di 2 milioni di pensionati con importi medi superiori a 30.000 euro lordi l’anno, proprio quelli sopra «l’asticella» che così verrebbero penalizzati due volte. Fare riferimento all’articolo 38 della Costituzione è fuorviante in un Paese dove tra pensioni assistenziali e maggiorazioni sociali e invalidità civili la metà dei pensionati è assistita dallo Stato come se il nostro Paese fosse uscito da una guerra o da una catastrofe; la regola del 2% per ogni anno lavorato vale per redditi o stipendi entro i 45.000 euro lordi; sopra questi importi i coefficienti di calcolo utilizzati per determinare la pensione scendono a 1,5 – fino a 0,9; per una retribuzione di 100.000 euro lordi ( 51.000 euro netti) su un periodo di 40 anni il famoso 80% si riduce a poco più del 53% e questo, soprattutto per le alte professionalità. Chi insiste sui cosiddetti pensionati d’oro conosce questa regola?
La Cassazione e l’indicizzazione
Eventuali proposte tendenti a bloccare l’indicizzazione delle pensioni oltre un certo importo sono già state definite illegittime dalla Cassazione poiché, come dovrebbero sapere i proponenti, producono effetti per l’intero periodo di fruizione della pensione (se oggi deindicizzo una pensione da 90.000 euro lordi con inflazione al 2% provoco una riduzione nell’anno di 1.800 euro; se il pensionato percepirà la pensione per 15 anni il danno complessivo sarà di 1.800 x 15 anni cioè 27.000 euro più indicizzazione).
Giovani e debito
La soluzione più equa sarebbe l’applicazione di un contributo di solidarietà su tutte le pensioni retributive che cresce in modo proporzionale all’entità’ della prestazione; esempio fino a 700 euro al mese lordi 0,5% cioè 3,5 euro al mese ( tre caffè ) e poi in progressione fino a un 8%; per poi accelerare sulle pensioni tipo Banca d’Italia, fondi speciali e vitalizi di consiglieri regionali e parlamentari ancor più generosi del metodo retributivo. Così facendo non si violano i principi di equità impositiva rendendo costituzionale la norma e si risarcisce la generazione giovane sottoposta al contributivo puro per colpa di sindacati e politici che fecero salvi tutti quelli che nel 1995 avevano più di 18 anni di contributi. Considerando i 228 miliardi netti di prestazioni in pagamento si può pensare di reperire oltre 6 miliardi che però se vogliamo bene ai giovani, devono andare a riduzione del debito pubblico. Se la misura fosse prevista per 5 anni e finalizzata alla riduzione del debito pubblico, tutti noi saremmo ben lieti di partecipare al risanamento del Paese e a favore delle giovani generazioni a cui, per inciso, lo Stato ha già previsto l’eliminazione di qualsiasi integrazione al minimo o maggiorazione sociale e per giunta non l’ha comunicato ai diretti interessati.
* Alberto Brambilla, Docente Università Cattolica Milano, Coordinatore Cts itinerari previdenziali
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