by redazione | 29 Agosto 2014 8:57
GERUSALEMME — Alle spalle sono parcheggiati tre cammelli d’acciaio, i gipponi che portano montati le mitragliatrici pesanti e hanno trasformato i piccoli clan di trafficanti del Sinai in eserciti capaci di muovere migliaia di uomini. Sono diventati il simbolo del potere fondamentalista, il marchio minaccioso di quello che Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, chiama «il Far West sulla nostra frontiera sud». Il messaggio dei carnefici è rivolto allo Stato ebraico e ai suoi leader: «Dovete capire che la nazione islamica si è risvegliata, i vostri complotti sono noti, per voi sarà l’inferno». L’esecuzione spietata (e le immagini diffuse via Internet) cercano di intimorire anche i generali al Cairo che vogliono domare lo «scatolone di sabbia», così gli storici egiziani chiamano la penisola.
I terroristi del gruppo Ansar Bayt Al Maqdis indossano i cappucci neri, scuri come le bandiere che sventolano al vento del deserto. Le vittime egiziane sono quattro, anche loro con i volti coperti, le facce mostrate sono solo quelle storpiate dalla decapitazione: il rituale dell’orrore ricalca quello di quei miliziani che pianificano di creare lo Stato Islamico. Così hanno massacrato il giornalista James Foley (il video è stato diffuso il 19 agosto), così continuano a punire chi non rispetta le norme religiose imposte nei territori sotto il loro dominio. Nella provincia di Raqqa, la città siriana che considerano una capitale, hanno conquistato giorni fa la base aerea di Tabqa: i soldati del regime di Bashar Assad catturati sono stati spogliati e freddati, 150 cadaveri riversi in fila sulla sabbia. Dalla Siria e dall’Iraq, i portavoce dello Stato Islamico hanno elogiato in passato gli estremisti del Sinai perché combattono le truppe egiziane, «mentre Al Qaeda si rifiuta di farlo». I capi di Ansar accusano l’esercito di «collusione» con gli israeliani, di coordinare i raid contro l’organizzazione. I quattro uomini sono stati condannati a morte come «spie del Mossad», l’esecuzione è una rappresaglia per l’uccisione di tre combattenti, eliminati in un bombardamento il 23 luglio. Il Cairo ha negato che quel giorno velivoli israeliani siano entrati nello spazio aereo.
La penisola del Sinai collega due continenti e si estende per 61 mila chilometri quadrati di deserto e montagne, due volte la valle e il delta del Nilo messi insieme, tre volte Israele e duecento la Striscia di Gaza. Con tutti e tre confina. I gruppi salafiti reclutano tra i beduini che trafficano in droga, armi, esseri umani da rivendere come schiavi. Cercano combattenti tra chi si vuole vendicare delle truppe egiziane che hanno distrutto i tunnel del contrabbando con Gaza. Abdel Fattah Al Sisi, il generale diventato presidente, considera il Sinai e la Striscia sotto il controllo di Hamas come due dune dello stesso problema. Gli attacchi nella penisola si sono intensificati da quando ha deposto Mohammed Morsi, Hamas è emanazione dei Fratelli Musulmani, dichiarati fuorilegge in Egitto un anno fa.
Al Sisi avrebbe preferito che Netanyahu andasse fino in fondo con l’organizzazione, fino a toglierle il controllo di Gaza. Khaled Meshaal, il leader del gruppo, proclama dal Qatar: «Non permetteremo a nessuno di disarmarci». I cinquanta giorni di guerra non sembrano aver prodotto una calma definitiva, gli analisti prevedono un altro conflitto contro Hamas «nel giro di un paio d’anni o prima». Netanyahu deve adesso affrontare anche il fronte nord, dove i ribelli siriani, tra loro i fondamentalisti di Al Nusra, hanno conquistato il valico di Quneitra. Ieri 43 soldati fijiani dell’Undof, la forza delle Nazioni Unite dispiegata sul confine, sono stati sequestrati e a 81 caschi blu filippini è stato intimato di non lasciare le basi. Israele teme che l’Onu ritiri gli osservatori e la frontiera rimasta tranquilla per quarant’anni diventi un?altra prima linea.
Davide Frattini
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