by redazione | 2 Agosto 2014 18:26
C’è una cosa che più di tutte colpisce il visitatore: la natura possente, rigogliosa e selvaggia. Gli abitanti della regione hanno coniato uno slogan: «Mazury cud natury», Mazuria miracolo della natura. Foreste, laghi e ancora laghi, grandi e grandissimi che si susseguono, si toccano, contornati dal verde lussureggiante che non smette di stupire chi gli sta di fronte. Poi d’improvviso, mentre la macchina percorre la strada che costeggia il lago vicino al villaggio di Stary Kiejkuty, spunta una doppia recinzione con filo spinato. Telecamere ovunque e se provi a parcheggiare, scendere e scattare foto, dopo appena qualche minuto arriva la sicurezza che ti sequestra la memory card: «zona militare, off limits, niente foto e video». Benvenuti al centro d’addestramento dei servizi segreti militari polacchi (Osrodek Szkolenia Agencij Wiwiadu), il posto più segreto e inaccessibile della Polonia. È qui che gli agenti della Cia portavano i terroristi (o presunti tali) e qui venivano torturati. Il classico posto tranquillo ad appena 20 km dall’aeroporto si Szczytno-Szymany, e soprattutto fuori dalla portata di sguardi indiscreti dove poter attuare il programma di «extraordinary rendition» (consegne straordinarie), ovvero la detenzione clandestina di un «elemento ostile» sospettato di essere un terrorista.
Erano i tempi della guerra al terrore e la Polonia aveva deciso di entrarci dentro aiutando l’alleato americano a fare il lavoro sporco. Alcuni abitanti di Stary Kiejkuty ricordano bene il rumore degli aerei di notte. Troppi per un piccolo aeroporto come quello. I politici polacchi fanno orecchio da mercante: «Prigioni segrete? Io non c’ero, e se c’ero dormivo». È questo il succo delle loro dichiarazioni a proposito. Leszek Miller, 68 anni, segretario del partito socialista polacco (Sld), all’epoca primo ministro. Pur ammettendo la presenza di agenti americani a Stary Kiejkuty, lui ha sempre negato l’esistenza di prigioni segrete della Cia in Polonia. Diversa la ricostruzione di Alexander Kwasniewski, ex presidente della repubblica ed ex compagno di partito di Miller, il quale nel 2012 ha rivelato che «quel tipo di sito era stato approvato», ovviamente a sua insaputa. Oggi Kwasniewski aggiunge che «il governo polacco, le autorità polacche, guidate allora da Leszek Miller, io, come presidente e tutte le maggiori istituzioni dello stato, hanno agito in buona fede con l’alleato americano e in accordo per la difesa degli interessi nazionali». Detto in parole povere, a Washington non si poteva dire di no. Del resto, la Polonia è sempre stata un nodo strategico di primaria importanza per la politica estera a stelle e strisce. Lo era ai tempi di Reagan, che finanziava a suon di dollari la lotta di Solidarnosc contro il regime del socialismo reale. Lo era ai tempi di Bush padre che dopo l’89 mandò i propri consiglieri economici a Varsavia per costruire il Paese su basi neo-liberiste. Lo era per Bush figlio che in Polonia voleva istallare i radar per lo scudo spaziale. Lo è oggi per Obama e il suo progetto di ridispiegamento delle truppe Nato sullo scacchiere europeo. Un’alleanza forte, dunque, che preserva gli interessi strategici americani garantendo cospicue risorse ai polacchi in campo economico e militare. È in questa ottica che va inserita la questione delle prigioni segrete: «È l’economia bellezza».
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