“L’ultimo fuorilegge è l’artista ribelle”

by redazione | 26 Agosto 2014 8:45

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TUTTI se lo ricordano, il 7 agosto del 1974, a quattrocento metri d’altezza, in equilibrio su un cavo teso tra le due torri del World Trade Center di New York. Un giovane uomo sospeso nel vuoto sopra la città. Da allora, Philippe Petit è il funambolo più famoso al mondo, autore di imprese e spettacoli straordinari, spesso preparati quasi clandestinamente. Ma l’artista francese, da moltissimi anni trapiantato negli Stati Uniti, non è solo un funambolo, è anche giocoliere, mago, uomo di teatro, scrittore sempre in cerca di nuove avventure per conquistare quello che chiama «l’impossibile». Lo scrive nel suo nuovo libro, Creatività ( Ponte alle Grazie).
Libro da dopodomani nelle librerie italiane, nel quale racconta con intelligente leggerezza la sua idea di creatività, considerata un “crimine perfetto”. «La creatività è importante per la vita umana quanto il pane e l’acqua», spiega Petit, che il 29 agosto sarà al Festival della mente di Sarzana. «Non possiamo vivere con le spalle curve e gli occhi bassi, rassegnandoci a una vita monotona. Abbiamo bisogno di guardare il cielo e le stelle, di sognare, inventare, improvvisare. La creatività quindi ci è necessaria come l’aria. E per essere creativi occorre innanzitutto sfruttare a fondo i propri sensi, evitando che si atrofizzino in questa nostra vita quotidiana dominata dalla ripetizione e dalle tecnologie».
Perché la creatività, “crimine perfetto”, è l’atto di ribellione di un fuorilegge?
«Per me è così, sono sempre stato un fuorilegge, fin da giovane, quando ho imparato da solo, contro regole e abitudini, l’arte dei funamboli, dei maghi e dei giocolieri. Ho cercato di crearmi un mondo personale d’illusioni e di meraviglie lontano dalle convenzioni sociali. Parlare di “crimine perfetto” è naturalmente una metafora, ma è vero che un viaggio creativo comincia sempre sbarazzandosi di vincoli e regole precostituite. La vera creatività implica sempre una dimensione ribelle e trasgressiva, nasce da una passione che non chiede il permesso a nessuno ».
Come quando ha camminato sul cavo tra le Torri gemelle di New York…
«Non chiesi l’autorizzazione, perché sapevo che non me l’avrebbero mai data. E infatti poi mi hanno arrestato. Quando si ha un’idea creativa, occorre assecondarla pienamente, senza farsi imbrigliare dalla burocrazia e dai regolamenti. Altrimenti si finisce per dimenticare l’importanza del gesto iniziale che consiste proprio nel lanciarsi a fondo nella realizzazione di un sogno. Non bisogna mai farsi influenzare dal mondo esterno, che quasi sempre si schiera contro la novità, preferendo la sicurezza del già noto. Se si vuole essere creativi, occorre mettersi in gioco, anche a costo di farsi un po’ male».
Com’è la terra quando la si guarda da un cavo sospeso a mezz’aria?
«Appare in un’altra prospettiva, ed è sempre bello guardare il mondo da un altro punto di vista. L’ho scoperto da bambino quando ho cominciato ad arrampicarmi sugli alberi e lo sperimento ancora ogni volta che salgo sul cavo. Durante questo esercizio sono sempre estremamente concentrato su quello che sto facendo, quindi è come se non vedessi più nulla di ciò che mi sta attorno. In realtà però continuo ad essere vigile e sensibile nei confronti del mondo esterno, lo ascolto e lo sento. È una forma di concentrazione che mi aiuta a percepire il mondo in maniera diversa».
Ma c’è sempre una dose di rischio?
«La creatività esplora territori — reali o metaforici — in cui nessun altro si è mai avventurato prima, di conseguenza corre sempre qualche rischio. Naturalmente parlo di rischi artistici o intellettuali. Per quanto riguarda il rischio fisico, faccio sempre di tutto per evitarlo. Nel lavoro di funambolo, tutta la fase di preparazione è finalizzata a evitare qualsiasi rischio fisico».
Qual è il carburante della creatività?
«Innanzitutto la passione, ma anche il piacere della ricerca. La creatività ci trasforma in esploratori e conquistatori, ci spinge ad affrontare apertamente la vita. Una volta lasciati gli ormeggi, non bisogna più pensare di tornare indietro. Il primo passo è un momento di non ritorno, implica la consapevolezza del viaggio che abbiamo appena intrapreso, che certo può essere incerto e rischioso, ma anche ricco di meraviglie e promesse. Naturalmente ci sono molti modi di fare il primo passo: a volte può anche essere semplicemente il fatto di prendere in mano una matita o un cacciavite, lasciandosi andare alla complessa alchimia della passione creatrice».
Lei però insiste anche sul carattere metodico della creatività: disciplina, concentrazione.
«Il gesto creativo implica un processo di apprendimento che ha bisogno di un metodo, di strumenti, di regole e allenamenti. Capisco che ciò possa sembrare contraddittorio, ma io sono fatto così. La mia creatività è sempre un percorso che va dal caos all’ordine. Quando ho una nuova idea, all’inizio mi ritrovo sommerso da una grande quantità d’intuizioni, ipotesi, opzioni e possibilità che si muovono in tutte direzioni. Poi, a poco a poco, riesco a mettere ordine in quella confusione, dando al progetto una direzione e contorni sempre più precisi. Naturalmente, accanto al metodo, nel processo creativo agisce anche una certa dose di casualità, d’imprevisto e d’improvvisazione, motivo per cui cito nel libro le belle parole del poeta Antonio Machado: “Per il viaggiatore non esiste sentiero.” Quando si vuole controllare tutto, si rischia infatti d’imbrigliare lo slancio creativo, riducendone le potenzialità. Occorre lasciarsi andare e accettare l’imprevisto, come ho sperimentato personalmente molte volte».
La creatività è una dote o una costruzione?
«Non si nasce creativi, lo si diventa attraverso quello che si fa e il modo di guardare la vita. Certo contano anche il contesto, la famiglia, la scuola, la realtà in cui si vive, ma più di tutto conta la nostra soggettività. Abbiamo tutti un potenziale creativo, che però deve essere liberato, sviluppato e aiutato ad esprimersi. Chiunque può essere creativo».
Il libro è quindi un invito a realizzare i propri sogni, piccoli o grandi che siano?
«Mi piacerebbe che, alla fine del libro, i lettori sentissero il desiderio di una loro avventura creativa capace di cambiare almeno un poco le loro vite. Dobbiamo convincerci che è sempre possibile trasformare la nostra vita in un’esperienza meravigliosa. A questo scopo, la creatività è uno strumento utilissimo. A volte però ho l’impressione che prenda una direzione anticreativa, sprecandosi in invenzioni stupidamente inutili».
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IL LIBRO
Creatività di Philippe Petit (Ponte alle Grazie, trad. di Sabrina Placidi, pagg. 192, euro 18)

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