L’impossibile poetica della «Fabbrica mondo» targata Fiat
«Esiste un mondo nel quale le persone non lasciano che le cose semplicemente accadano. Loro le fanno accadere. Senza abbandonare i propri sogni fuori dalla porta, loro li realizzano e rischiano, per tracciare, ben evidenti sul terreno, le proprie impronte. È un mondo nel quale ogni nuovo giorno e ogni nuovo cambiamento offrono l’opportunità di costruire un futuro migliore». Il 6 maggio 2014 ad Auburn Hills, Sergio Marchionne – di fronte agli investitori internazionali – decide di aprire la presentazione della nuova Fiat-Chrysler Automobilies con un breve componimento (dalla resa più banalmente retorica che poetica). Incapaci di riproporre la forza dello Yes we can di Barack Obama (ma incredibilmente simili al tono gigionescamente sognante del nostrano Matteo Renzi), nella loro scarsa originalità, le parole del manager italo-canadese accompagnano la caduta delle quotazioni borsistiche che investono il titolo nelle giornate successive alla presentazione.
D’altronde, gli obiettivi e le strategie prospettate da Marchionne per i diversi marchi che costituiscono la nascente Fca ricordano, nel loro impraticabile ottimismo, quelli immaginati precedentemente per Fabbrica Italia. Così, se la ristrutturazione aziendale varata nel 2010 per lo stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco, sembra essersi rivelata – nel mancato raggiungimento degli obiettivi preposti – una linea di riorganizzazione produttiva e di politica sindacale, non possono non sorgere dubbi anche riguardo alla solidità del progetto Fabbrica Mondo.
Se anche nel processo di acquisizione di Chrysler, Marchionne ha ottenuto, dal sindacato americano Uaw, condizioni lavorative e retributive tutt’altro che favorevoli per gli operai dell’azienda, per provare a immaginare cosa accadrà nel futuro della Fca, bisogna forse rileggere proprio la storia del progetto Fabbrica Italia e le trasformazioni che hanno riguardato le condizioni dei lavoratori, nonché il ruolo del sindacato all’interno dei diversi stabilimenti italiani.
È questa la storia che Salvatore Cannavò racconta in C’era una volta la Fiat. La nuova Fca e lo scontro di Marchionne con il sindacato (Alegre, pp.126, euro 12) soprattutto guardando alla situazione della fabbrica automobilistica «con gli occhi di chi ci lavora e ci vive (e descrivendo) la dura vita della fabbrica fatta di ritmi ossessivi e di vere e proprie discriminazioni». L’obiettivo, quindi, è di ridare visibilità a quegli operai che sono oramai stati quasi completamente esiliati dagli schermi televisivi (e, di conseguenza, dall’immaginario collettivo), ma che ancora fanno andare avanti la produzione automobilistica.
In questa edizione aggiornata Cannavò inserisce una interessante introduzione sulla nuova Fca e una appendice, a cura di Alberto Piccinini, sul lungo «contenzioso giudiziario che ha visto contrapporsi la Fiat alla Fiom» nel primo decennio del XXI Secolo. «Contenzioso ampio ed articolato, non certo perché la Fiom abbia scelto di privilegiare la “lotta giudiziaria” rispetto a quella sindacale, ma solo perché la strategia del più grosso gruppo industriale italiano ha perseguito l’estromissione delle proprie fabbriche – prima fisica e poi giuridica – dei rappresentanti sindacali, e persino degli iscritti, appartanenti a quell’organizzazione». La finalità del libro non è certo quella di demonizzare il cosiddetto «Miracolo Marchionne» o il suo artefice, ma di provare a rimediare alla quasi assoluta indulgenza o accondiscendenza dei media, per farne «un ritratto molto meno agiografico e più puntuale».
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