L’ Africa alla Casa Bianca Prove di alleanza anti-Cina
NEW YORK — È stata convocata dal governo Usa per rafforzare i legami politici ed economici tra l’America e un continente ancora assai arretrato, ma nel quale ci sono sette dei dieci Paesi in crescita più rapida al mondo. Per Barack Obama, che riceverà stasera alla Casa Bianca una cinquantina di capi di Stato e di governo dei Paesi del Continente nero, il summit Stati Uniti – Africa iniziato ieri a Washington è cominciato subito con uno slalom tra l’emergenza Ebola e la questioni dei diritti umani violati da molti dei governi rappresentati al vertice.
I regimi più feroci, quelli dell’Eritrea, del Sudan e dello Zimbabwe, condannati anche dall’Onu, non sono stati nemmeno invitati al vertice. Ma ci sono molti altri leader pieni di scheletri nell’armadio che sono regolarmente arrivati in una Washington semiparalizzata dalla chiusura delle strade attorno ai luoghi del vertice: Dipartimento di Stato, Banca Mondiale, Congresso, Casa Bianca, Accademia delle Scienze. È il caso del presidente della Guinea Equatoriale, Obiang Nguema, che ha fatto incarcerare e torturare molti oppositori (compreso l’imprenditore italiano Roberto Berardi che aveva denunciato la corruzione del figlio dei leader) o del presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, accolto ieri da John Kerry che ha avuto con lui anche un incontro bilaterale. Eppure il Congo ha il primato mondiale delle violenze carnali sulle donne (48 stupri l’ora, secondo le organizzazioni umanitarie) e lo stesso Kabila è stato a capo di un esercito di bambini negli anni Novanta, ai tempi della guerra civile in Zaire e del genocidio in Ruanda.
Aprendo ieri mattina la conferenza, il segretario di Stato Usa ha puntato i riflettori sull’obiettivo americano di allargare la cooperazione antiterrorismo e gli scambi commerciali degli Usa con una regione del mondo che ha, ormai, un miliardo di consumatori e un ceto medio più ricco e dinamico di quello, ad esempio, dell’India: «Questo è un momento di grandi opportunità per l’Africa» ha detto John Kerry. «Un continente di enormi possibilità le cui risorse non sono solo il petrolio e l’oro del suo sottosuolo, ma la gente, la sua voglia di emanciparsi, di migliorare la formazione professionale». Chiaro riferimento alla Cina che da 15 anni batte incessantemente l’Africa, soprattutto a caccia di materie prime, mentre gli Usa promettono di valorizzare le risorse umane.
Ma per farlo ci vuole una società civile vitale, libera. Per questo Kerry, pur non entrando specificamente nella questione dei diritti umani violati dai singoli Paesi (cosa che suscita la protesta delle organizzazioni umanitarie), ha esortato i governi africani ad adottare la democrazia come sistema di governo, pur riconoscendo la difficoltà di una simile operazione: «Solo così avrete una società civile vibrante, inclusiva e indipendente». Il vicepresidente Joe Biden, dal canto suo, ha insistito sulla necessità di combattere la corruzione.
Ieri i primi seminari sulle possibilità di sviluppo delle relazioni commerciali e una serata coi parlamentari del Congresso. Oggi, per i leader africani, forum degli affari con gli amministratori delegati di duecento gruppi industriali Usa (la General Electric ha appena annunciato investimenti di due miliardi di dollari per energia e trasporti) e poi la cena alla Casa Bianca. Con Obama che saluterà gli ospiti individualmente ma parlerò loro collettivamente per evitare l’imbarazzo di incontri con personaggi che è meglio tenere a distanza. Quanto a Ebola, il governo Usa dice che i lavori del summit non ne risentono (salvo le defezioni dei leader dei Paesi più colpiti). Ma l’epidemia rilancia la vecchia immagine del continente della povertà e delle malattie endemiche che si sta cercando di seppellire.
Massimo Gaggi
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