Imprese, 2013 da dimenticare giù ricavi, lavoro, margini Si salva solo il Made in Italy
MILANO . Il 2013 è stato anno tra i più duri per le imprese italiane: ricavi in calo, tagli occupazionali, margini crollati, investimenti in caduta, così come il credito. L’unico modello che resiste, almeno per Mediobanca R&S, è la media impresa manifatturiera: Made in Italy e “Quarto capitalismo”, che sanno mitigare numeri rossi e recessione. È l’analisi “Dati cumulativi 2013”, che aggiorna le sole attività italiane di 2.050 imprese.
I soli dati positivi vengono dal Made in Italy, specie se a proprietà italiana. Anche se, tra delocalizzazioni e incursioni di stranieri, ormai il 67% delle famose “quattro A” (abbigliamento, alimentare, arredamento, automazione) si produce all’estero. Nel 2013 il campione ha ridotto i ricavi del 2,7% sul 2012, il primo calo dopo tre anni di tenue crescita. Dal 2008, la riduzione aggregata è del 2,4%. Ma le differenze tra gruppi sono ampie: i settori pubblici, grazie alle tariffe e al prezzo del petrolio, hanno aumentato in sei anni i ricavi del 6,1%, quelli privati hanno perso un 4,7%, la grande manifattura perde il 6,3%, le medie manifatture +0,9%, il Made in Italy tiene (-0,8%) se gestito da italiani: curiosamente quello a controllo straniero lima i ricavi dell’11%. Sul terziario (-1,1%) pesa il tracollo di tlc (-18%) e tv (-9%), mentre corrono le imprese di costruzioni (+16%), ma in gran parte per commesse infrastrutturali all’estero.
Le tendenze sono ricalcate nell’occupazione: nelle società pubbliche dal 2008 hanno perso il 9,2% degli addetti, la manifattura – 5,7%, ma il Made in Italy in mani italiane resiste (-2,2%, se la proprietà è straniera – 10,6%). Tra i pochi settori che creano lavoro ci sono pelle e cuoio (+8,8%), vetro +5%, abbigliamento +4,9%, impiantistico +4,3%, dolciario +3,9%. I comparti con più tagli sono invece elettrodomestici (-19,1%) editoria (-17,8%), edilizia (-17,2%). Se si licenzia, è perché i margini sono lontanissimi dai livelli precrisi: dal 2007 le 2mila imprese li hanno visti ridursi del 42,5%, in ugual misura tra pubbliche e private, ma ben più delle medie imprese (-16,6%). L’anno scorso anzi i margini sono aumentati per le medie (+16%) e mediograndi imprese (+10,2%), che insieme formano il “Quarto capitalismo”. Sempre le medie, scrive Mediobanca R&S, preservano gli investimenti di lungo termine: dal 2004 li hanno limati del 7%, contro un drastico – 54% del pubblico e il – 30% dei privati. Nel terziario gli investimenti sono crollati del 63%, provocando invecchiamento degli impianti e frenata della produttività manifatturiera (quella per dipendente dal 2005 è salita di un 13,5%, contro il 23,7% del costo del lavoro unitario). Complici dei mancati investimenti sono i banchieri:
dopo aver dato 48 miliardi di nuovi crediti al campione tra 2005 e 2008, hanno tolto 33 miliardi tra il 2009 e l’anno scorso. Soprattutto, i banchieri hanno intercettato nel decennio solo il 6% dei crediti a medio lungo termine, concentrandosi su quelli a breve, più agevoli e sicuri, ma non certo la parte “nobile” del loro mestiere.
Non stupisce così che le 2.050 imprese nel 2013 abbiano creato meno ricchezza del capitale ivi investito (-0,1%). Ma anche qui va distinto: le private ne bruciano lo 0,4%, le medie lo 0,2%, mentre il Made in Italy crea l’1% di ricchezza e le imprese pubbliche lo 0,3%.
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