I sopravvissuti della Shoah contro Israele: massacri a Gaza

by redazione | 24 Agosto 2014 16:55

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GERUSALEMME . «Nella mia vita ho visto bambini ebrei gettati nel fuoco. E adesso vedo bambini usati come scudi umani, da fedeli al culto della morte non dissimili da coloro che veneravano Moloch. Questa non è una battaglia di ebrei contro arabi o di Israele contro i palestinesi. È una battaglia tra coloro che celebrano la vita contro i campioni della morte. È la civiltà contro la barbarie». Così scriveva Elie Wiesel, premio Nobel per la pace e sopravvissuto ad Auschwitz, in una inserzione a pagamento pubblicata a inizio agosto su New York Times e Washington Post e poi ripubblicata (tra le polemiche, perché il concorrente Times si era rifiutato) dal Guardian di Londra.
Adesso a Wiesel rispondono quaranta sopravvissuti all’Olocausto (tra cui Henri Wajnblum, Edith Bell e Moshe Langer) che — insieme ai loro figli e nipoti (altre 287 firme) — denunciano «il massacro dei palestinesi a Gaza» e si dichiarano «disgustati dall’abuso della storia» che il premio Nobel avrebbe operato, tentando di «giustificare ciò che non è giustificabile: la distruzione di Gaza fatta da Israele e l’assassinio di oltre duemila palestinesi tra cui centinaia di bambini». La maggioranza dei firmatari risiede (come Wiesel) negli Stati Uniti, diversi in Europa (nessun italiano), solo uno, Rami Heled figlio di sopravvissuti e con tutti i nonni morti a Treblinka, vive oggi in Israele. Ed è stato pubblicato sul sito dell’International Jewish Anti-Zionist Network (organizzazione che dichiara apertamente come proprio obiettivo quello del “ritorno dei rifugiati palestinesi” e la “fine della colonizzazione israeliana”).
Intanto, Abu Mazen è di nuovo nella capitale egiziana e lancia (spalleggiato dall’Egitto) un nuovo appello per il cessate-ilfuoco. A Gaza per ora non lo ascolta nessuno, Hamas continua a lanciare i suoi razzi contro i civili israeliani, gli aerei di Gerusalemme rispondono con le bombe — dieci morti tra cui cinque bambini — e Netanyahu (con una lettera al segretario dell’Onu) paragona i terroristi della Striscia a quelli dello Stato Islamico. In un sabato di guerra di “routine” (per i media, non per chi da una parte o dall’altra cerca di sopravvivere a razzi, missili e colpi di mortaio) Hamas tenta il colpo di propaganda. Di fronte all’indignazione per gli omicidi a sangue freddo contro presunti “collaborazionisti” o “spie” di Israele (ieri le squadracce in azione a Gaza ne hanno ammazzati altri quattro davanti a una moschea) annuncia di aver firmato la proposta di adesione alla Corte Penale Internazionale, nella convinzione che aderendo alla Statuto di Roma (quello su cui si basa la Cpi) Israele ossa essere direttamente perseguito per “crimini di guerra”.
La Corte Penale Internazionale — che non ha nulla a che vedere con il Tribunale dell’Aja (o Corte Internazionale di Giustizia) delle Nazioni Unite, pur avendo la sede nella stessa città olandese — in realtà non porta sul banco degli imputati gli Stati, ma solo i singoli individui che si sono macchiati di genocidio, gravi crimini di guerra o crimini contro l’umanità. Inoltre lo Stato ebraico (come anche Stati Uniti, Cina, Russia e diversi altri) è tra i paesi che non aderiscono alla Cpi.

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