I sentimenti della crisi secondo la rivista Outlet

I sentimenti della crisi secondo la rivista Outlet

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Il titolo ha pre­ce­denti illu­stri. Il più noto è sicu­ra­mente Adam Smith con il suo clas­sico Teo­ria dei sen­ti­menti morali. Ma molti degli autori pre­senti nel nuovo numero, il sesto, della rivi­sta « Outlet », c’è da giu­rarci, pre­fe­ri­scono l’accostamento con il volume col­let­tivo sui «Sen­ti­menti dell’aldiqua. Oppor­tu­ni­smo, cini­smo e paura», che negli anni Ottanta del Nove­cento ha costi­tuito, in Ita­lia e non solo, una ripresa del pen­siero cri­tico nel pieno della con­tro­ri­vo­lu­zione libe­rale. Que­sta volta si parla, più paca­ta­mente, dei «Sen­ti­menti nella crisi» (pp. 142, euro 8), anche se l’ambizione è di for­nire gli stru­menti giu­sti per quella «cri­tica dell’ideologia ita­liana» che costi­tui­sce la mis­sion della rivi­sta.

Le parole chiave scelte sono: cata­strofe, risen­ti­mento, sacri­fi­cio, mora­li­smo, paura/precarietà, odio/amore, ras­se­gna­zione, pro­messa. Sono tutte tappe per uscire dal labi­rinto di un ordine sociale e poli­tico che disprezza ogni carat­te­ri­stica sto­rica, pre­sen­tan­dosi infatti come un ordine dato in natura. Eppure le cro­na­che degli ultimi otto anni rive­lano l’esatto oppo­sto, cioè che la società neo­li­be­rale è desti­nata a lasciare il posto ad altre forme di orga­niz­za­zione sociale, isti­tu­zio­nale e eco­no­mica. Cio­no­no­stante, gli autori scom­met­tano sul fatto che il neo­li­be­ri­smo è riu­scito a met­tere in campo una mac­china pro­dut­trice di con­senso che è desti­nata a fun­zio­nare ancora a pieno regime. Il suo punto di forma è l’ambivalenza che carat­te­rizza la mani­fe­sta­zione dei sen­ti­menti scelti dal col­let­tivo reda­zio­nale di Outlet. Lo scrive nell’introduzione Andrea Colombo, lo riba­di­sce Marco Bascetta (il risen­ti­mento), lo con­ferma Angela Azzaro (mora­li­smo), lo arti­cola nelle sue forme più evi­denti (la pre­ca­rietà) Giu­liana Fer­rara. Chi però indi­vi­dua le fra­gi­lità dell’ordine neo­li­be­rale sono Monia Cap­puc­cini che parla della «ras­se­gna­zione» o Fabio Tar­zia (il sacri­fi­cio), sim­boli di un con­senso pas­sivo poco com­pa­ti­bile con il vorace e nichi­li­stico dina­mi­smo che carat­te­rizza il mer­cato; e da Emi­liano Ilardi, che ana­lizza «la pro­messa» di buona vita che il neo­li­be­ri­smo sta disat­ten­dendo in Europa, come negli Stati Uniti.
E tut­ta­via, tra ambi­va­lenze e fra­gi­lità, i sen­ti­menti della crisi con­ti­nuano a svol­gere, come indi­vi­duano a ragione tutti gli autori, una fun­zione di deter­renza rispetto al con­flitto. Un unico appunto: manca una delle parole d’ordine della crisi: l’austerità. Non è certo un sen­ti­mento, ma ha l’indubbia capa­cità per­for­ma­tiva dei com­por­ta­menti col­let­tivi. Se un punto di forza, ma anche di debo­lezza, che il neo­li­be­ri­smo ha in que­sto ini­zio mil­len­nio è pro­prio l’austerity, motore di poli­ti­che sociali e di con­trollo sociale che il capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo ha messo in campo per ripor­tare all’ordine società sem­pre sul punto della «cata­strofe» (parola ana­liz­zata da Alberto Abruz­zese).
Chiu­dono la rivi­sta le sezioni «Rica­dute», «Imma­gini», «Con­ver­sa­zioni», «Docu­menti» (il sag­gio di Paolo Virno pre­sente nel volume «Sen­ti­menti dell’aldiqua» e «Posizionamenti».



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