I passettini sparsi del premier, una trama con tanti annunci

I passettini sparsi del premier, una trama con tanti annunci

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La gradualità ha dunque preso il sopravvento sulla velocità fine a se stessa. Con la parola d’ordine del «passo dopo passo» il premier Renzi sembra aver preso atto, almeno a livello di comunicazione, che nell’azione di governo c’è bisogno di meno foga e più raziocinio. Da sprinter di valore intermedio il presidente si candida ora a diventare un buon mezzofondista. Confidiamo, di conseguenza, che da oggi in poi i provvedimenti siano ben scritti, che i decreti attuativi seguano per tempo e che l’implementazione delle norme non resti impigliata nelle trappole tese, più o meno ad arte, dalla burocrazia.
Peccato però che questa svolta all’insegna del buon senso si sia confusa ieri con un piccolo show di cui avremmo fatto volentieri a meno. Il presidente del Consiglio che gusta polemicamente un gelato nel cortile di Palazzo Chigi per replicare a una pessima copertina dell’Economist non è certo un’immagine destinata ad aiutare la nostra credibilità internazionale, si presenta invece come una scelta assai discutibile di marketing politico. Onestamente non ci viene in mente un altro grande leader europeo in carica che avrebbe dato vita alla stessa performance. Quantomeno qualcuno a lui vicino avrebbe avuto il fegato per fermarlo in tempo.
Guardando alla sostanza delle scelte del Consiglio dei ministri di ieri si può dire che dalla riunione è uscito un film ricco di abbondante trama e di altrettanti annunci. Insieme al tema della giustizia il nocciolo è rappresentato dal provvedimento sblocca Italia che, pur sceso dai 43 miliardi sbandierati fino a qualche giorno fa a numeri più realistici, si compone di almeno tre parti. La prima è un elenco di opere pubbliche che a detta di Renzi e del ministro competente Maurizio Lupi saranno rese cantierabili entro il 2015, la seconda è uno scambio (che farà discutere a Roma come a Bruxelles) tra il governo e le società autostradali che si impegnano a investire e incassano la proroga delle concessioni, la terza — infine — è la tranche autenticamente liberale che promette di semplificare le ristrutturazioni degli appartamenti e abbassa il tetto per le defiscalizzazioni delle piccole opere. Rinviata in extremis, invece, l’idea di incentivare fiscalmente l’affitto delle abitazioni. Le tre parti, a un primo esame e in base alle cose che sappiamo finora, non appaiono però in equilibrio tra loro, i passettini prevalgono sui passi. Ed è la lunga lista delle infrastrutture da realizzare ad avere nettamente la meglio con qualche scelta che ha del sorprendente, come l’alta velocità/alta capacità sulla tratta ferroviaria Palermo-Messina-Catania. Una priorità che darà adito ai maliziosi di formulare un cattivo pensiero: quello di un premier che coltiva segretamente l’ipotesi di andare nel 2015 a elezioni anticipate. Senza però volersi lanciare nelle previsioni sull’esito della legislatura e solo attenendosi agli annunci, lo step successivo consisterà nel verificare opera per opera le ipotesi di copertura e i meccanismi di finanziamento di lavori che, giova ricordarlo, interessano alla fine almeno una dozzina di Regioni.

Già in passato altri governi avevano giocato con gli annunci del varo di grandi opere spostando e mescolando impegni già presi con pure intenzioni, vecchie risorse con nuovi piccoli stanziamenti. È uno di quei famosi casi in cui il diavolo ha da sempre la capacità di nascondersi nei dettagli.
Dove Matteo Renzi sembra essersi arreso, almeno in questa fase, è il disboscamento della giungla delle municipalizzate. Dopo tante parole spese nelle settimane e nei giorni precedenti, il decisionismo del presidente del Consiglio si è fermato davanti alle remore dei sindaci e così il socialismo municipale italiano è riuscito ancora una volta a evitare la rottamazione. Per una misura che alla fine è mancata all’appello ne va segnalata un’altra che invece è sicuramente positiva e riguarda la ratifica del piano straordinario per accrescere il numero delle aziende italiane che esportano con continuità, predisposto da tempo dal viceministro Carlo Calenda. In materia di competitività delle imprese, Renzi ha riproposto anche ieri nella conferenza stampa l’idea che ha maturato sull’evoluzione del costo del lavoro nella manifattura. Per difendere la scelta — peraltro giusta — di mettere 80 euro in più in busta paga, il premier, fresco dell’incontro con il leader della Fiom Maurizio Landini, ha sostenuto che l’Italia deve puntare sull’industria di qualità e sugli alti salari. In linea di principio niente da obiettare solo che se si vuole difendere l’occupazione sarà forse meglio adottare come Paese una strategia più articolata. Perché ci sono settori e aziende sicuramente in grado di creare una quota significativa di valore aggiunto e di ridistribuirlo ai propri dipendenti — come ha fatto di recente la Ferrero — ma ci sono anche settori labour intensive come elettrodomestici e auto nei quali la competizione internazionale si gioca anche sui costi della manodopera. Ignorarlo vuol dire rassegnarsi presto o tardi a veder emigrare questo tipo di lavorazioni oppure a sussidiarle con vagonate di cassa integrazione e provvedimenti ad hoc di decontribuzione. È bene saperlo.
Dario Di Vico


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