I generali premono, Obama valuta le opzioni per la Siria

I generali premono, Obama valuta le opzioni per la Siria

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WASHINGTON — Sulla scrivania dell’ufficio ovale della Casa Bianca ci sono tre dossier che aspettano risposte. Come fermare l’Isis in Iraq. Colpire o meno in Siria. Stabilire la forza del movimento di Al Baghdadi. Il presidente Obama deve valutare le scelte insieme ai suoi collaboratori, tenendo conto di implicazioni non sempre razionali, di giochi di alleanze, di intrighi molto lontani dalla logica americana. A Washington sono giorni di analisi. Gli uomini dell’amministrazione interpellano i generali e gli esperti. Molte le voci, non sempre concordanti. Gli Usa, nonostante le reticenze e i dubbi, alla fine hanno colpito le colonne del Califfato. I raid si sono rivelati un successo ed hanno contribuito a sloggiare i militanti dalla diga di Mosul dando una mano ai curdi. Le incursioni però non bastano. Hanno messo una toppa. Ne serviranno altre, integrate da azioni di forze speciali e da altre operazioni segrete in un teatro dove muovono tanti — troppi — attori.

Gli Usa fanno finta di nulla ma se i curdi sono andati alla riscossa è anche merito dei guerriglieri (curdi) di Turchia e di Siria. I primi, del Pkk, sono in teoria degli avversari, catalogati come terroristi. Però sono utili quanto preparati. Molto più in gamba dei peshmerga curdi, un po’ imborghesiti rispetto al passato. L’amministrazione Usa è consapevole che ad Ankara i successi del Pkk suscitano timori, ma lasciano fare. Del resto anche i turchi non sembra abbiano ostacolato i movimenti.
Sempre in questo angolo di terra vanno registrate le mosse degli iraniani. Ancora una volta molti fingono di non vedere. Teheran avrebbe mandato in Kurdistan un reparto corazzato, con vecchi tank M60. Secondo Al Jazeera venerdì sarebbero già arrivati 1.500 soldati della Repubblica islamica, che già hanno partecipato ai combattimenti. Una presenza che ha una doppia lettura. L’Iran è al fianco di una parte dei curdi e al tempo stesso entra in un’area sensibile. Teheran, come la Turchia, «ama» i curdi solo se può controllarli.
L’altro tema è quello della Siria. Il Pentagono, da giorni, ha parlato di possibili incursioni aree sui rifugi dell’Isis nella parte nord orientale siriana. È inevitabile. Quest’area ha lo stesso valore dell’area tribale pachistana per i talebani. Retrovia, deposito di armi, fonte di denaro. Intelligence e aviazione Usa sono impegnati da giorni nella mappatura di bersagli in attesa di un ordine di Obama. E’ la procedura, intanto il presidente valuta. I suoi consiglieri non escludono che possa chiedere l’autorizzazione del Congresso. Non serve ma è il modo per avere una copertura più ampia.
Mandando droni e caccia in Siria, però, gli americani entrano nel conflitto in modo ambiguo. Da un lato sostengono i ribelli, dall’altro bombardano al fianco dei Mig di Assad. Complicazioni di uno scacchiere dove nulla è semplice. E sapendo delle inevitabili critiche, i funzionari Usa sottolineano: se l’Isis è cresciuto è anche merito di Assad che per molto tempo non ha colpito gli estremisti preferendo concentrarsi sugli altri insorti.
Tutto però si muove. L’Independent ha scritto che l’intelligence Usa avrebbe passato al regime informazioni poi usate dall’artiglieria per «battere» le postazioni dell’Isis attorno all’importante base aerea di Tabqa, assediata da mesi e minacciata dai militanti. Propaganda? Verità? Vedremo. Intanto gli americani, con gli alleati, guardano ad Aleppo. Il regime avanza sulle posizioni degli insorti, stessa cosa fanno quelli dell’Isis. Potrebbe determinarsi una situazione drammatica, con perdite consistenti.
Infine la discussione sulla «cifra» dell’Isis. Diversi osservatori rimproverano alla Casa Bianca di esagerare la forza del nemico. Si discute se sia in grado di organizzare attentati nelle città americani. Le agenzie di sicurezza lo temono ma riconoscono che l’interesse primario del Califfo è cementare la presa sul suo territorio. E per farlo espone i suoi uomini ai missili dei droni. Un vantaggio in una battaglia che si annuncia lunga.
Guido Olimpio


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