I documenti segreti del ruolo americano nella guerra d’Israele

by redazione | 5 Agosto 2014 13:02

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Glenn Gree­n­wald lo aveva annun­ciato: «Sno­w­den farà altre impor­tanti rive­la­zioni a pro­po­sito di Israele». E così sta avve­nendo. Il gior­na­li­sta che ha fatto cono­scere il grande scan­dalo delle inter­cet­ta­zioni ille­gali messo in campo dall’Agenzia per la sicu­rezza Usa (il Data­gate), ne dà conto sul suo sito The inter­cept. Gli ultimi docu­menti top secret esa­mi­nati da Gree­n­wald fra gli 1,7 milioni di file for­niti dall’ex agente Cia, Edward Sno­w­den, get­tano nuova luce sull’aggressione israe­liana ai pale­sti­nesi di Gaza, un’altra volta in pieno corso. Evi­den­ziano il con­vol­gi­mento diretto degli Usa e dei loro prin­ci­pali alleati. Negli ultimi dieci anni – dicono i docu­menti – la Nsa ha note­vol­mente aumen­tato il sup­porto – con armi, soldi e infor­ma­zioni – alla sua omo­loga israe­liana, l’Unità 8.200 (o Isnu o Sigint).
La coo­pe­ra­zione tra le due agen­zie è ini­ziata nel 1968 e ha costi­tuito la base per le strette rela­zioni esi­stenti attual­mente fra tutte le altre orga­niz­za­zioni dell’intelligence israe­liana e quelle degli Stati uniti, come la Cia, il Mos­sad e la Divi­sione delle ope­ra­zioni spe­ciali. Ser­vizi segreti alleati per tenere sotto con­trollo diversi obiet­tivi e «i paesi del Nord Africa, del Medio oriente, del Golfo Per­sico, del Sudest asia­tico e le repub­bli­che isla­mi­che dell’ex Unione sovie­tica». In molti casi, Nsa e Isnu hanno col­la­bo­rato con le agen­zie di spio­nag­gio bri­tan­ni­che e cana­desi, il Gchq e il Csec. Emerge anche l’apporto di alcuni regimi arabi come la monar­chia gior­dana e il ruolo delle forze di sicu­rezza dell’Anp nel for­nire ser­vizi di spio­nag­gio essen­ziali per indi­vi­duare e col­pire «obiet­tivi pale­sti­nesi». The inter­cept mostra anche una rice­vuta di paga­mento, datata 15 aprile 2004.

Le ripe­tute aggres­sioni alla popo­la­zione di Gaza – dice Gree­n­wald – sareb­bero impos­si­bili senza il soste­gno degli Usa, sem­pre pronti a sod­di­sfare le richie­ste bel­li­che di Israele, com’è avve­nuto con i 225 milioni di dol­lari aggiun­tivi appro­vati per finan­ziare il sistema mis­si­li­stico israe­liano. Un atteg­gia­mento che stride con il pre­sunto ruolo di media­zione osten­tato dagli Stati uniti nel con­flitto israelo-palestinese. Fatti che depo­ten­ziano le parole di Obama pro­nun­ciate come se il pre­si­dente Usa fosse un sem­plice spet­ta­tore di fronte al mas­sa­cro dei bam­bini a Gaza («È stra­ziante vedere cosa sta suc­ce­dendo lì»). Obama, osserva The Inter­cept, parla di Gaza come se si trat­tasse di una cala­mità natu­rale, di un evento incon­trol­la­bile a cui il governo Usa assi­ste sgomento.

Secondo i docu­menti di Sno­w­den, attual­mente rifu­giato in Rus­sia, Cia e Mos­sad hanno anche adde­strato l’attuale lea­der del gruppo Stato isla­mico dell’Iraq e del Levante (Isil), Abu Bakr el Bag­dadi. L’Isil, che sostiene il ritorno al “calif­fato” è stato ini­zial­mente costi­tuito in Siria per com­bat­tere il governo di al Assad. Ha rice­vuto armi dall’intelligence Usa e da quella del Regno unito, e finan­zia­menti dai sau­diti e dalla monar­chia del Qatar. El Bag­dadi è stato in car­cere a Guan­ta­namo tra il 2004 e il 2009. In quel periodo Cia e Mos­sad lo avreb­bero reclu­tato per fon­dare un gruppo capace di attrarre jiha­di­sti di vari paesi in un unico luogo: e tenerli così lon­tani da Israele. Per Sno­w­den, «l’unica solu­zione per pro­teg­gere lo Stato ebraico è quella di creare un nemico alle sue fron­tiere, ma indi­riz­zarlo con­tro gli stati isla­mici che si oppon­gono alla sua pre­senza». Un’operazione segreta detta «nido di calabroni».

La stretta col­la­bo­ra­zione tra i ser­vizi di Washing­ton e di Tel Aviv non ha però impe­dito lo spio­nag­gio incro­ciato tra i due grandi alleati. E così — ha rive­lato il set­ti­ma­nale Der Spie­gel — l’intelligence israe­liana ha inter­cet­tato le con­ver­sa­zioni del Segre­ta­rio di stato Usa, John Kerry, con i media­tori arabi e con l’Autorità pale­sti­nese: per avere le rispo­ste pronte durante l’ultimo ten­ta­tivo di nego­ziato con i palestinesi.

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