Il grido dell’eroe semplice ultima magia di Saramago

Il grido dell’eroe semplice ultima magia di Saramago

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«DI tutte le cose che poteva fare José Saramago morire è quella più inaspettata. Se conoscevi José proprio non lo mettevi in conto. Sì, certo, muoiono anche gli scrittori. Ma lui non ti dava proprio alcuna possibilità di pensare a un corpo stanco di vita, di respirare, di mangiare, di amare. Si era consumato negli ultimi anni, tra la carne e le ossa sembrava esserci sempre meno spessore, la sua pelle era sottile mantello che ricopriva il teschio. Ma diceva: “Potessi decidere, io non me ne andrei mai”».
Scrissi queste parole quando seppi che José invece era andato via e per un po’ mi rassegnai all’idea di una distanza che potevo ridurre solo rileggendo i suoi libri. Ora mi accorgo di non aver concesso vera fiducia alla sua ostinata volontà di tornare. Eccolo di nuovo qui di carne e sangue nelle pagine di questo nuovo libro. «c’era la luna piena, di quelle che trasformano il mondo in fantasma, quando tutte le cose, le animate e le inanimate, stanno sussurrando misteriose rivelazioni, ma ciascuna dicendo la sua, e tutte discordanti, perciò non riusciamo a capire e patiamo quest’angoscia di essere sul punto di conoscerle e di non conoscerle » così José scriveva nella Storia dell’assedio di Lisbona e queste nuove pagine sono crittogramma del brusio continuo delle rivelazioni misteriose che riceviamo. Come un manuale di traduzione
di suoni percezioni e indignazioni. la storia di Artur Paz Semedo risulta una rivelazione per il lettore più distratto, la lettrice più attenta, lo studioso più rigoroso, il filologo più cinico. È un’orchestra di rivelazioni. (…) Anch’io ho conosciuto Artur Paz Semedo. Non lavorava nei servizi di fatturazione di armamento leggero e munizioni della Bellona S.A. e non ha avuto una ex moglie pacifista. Non viveva in Italia. Probabilmente non ha mai preso in mano una pistola, figuriamoci se ha mai pensato di sparare un colpo. Anch’io ho conosciuto Artur Paz Semedo e il suo nome era Martin Woods. La sua arma era la precisione. Una ossessiva e ostinata precisione.
Se vieni assunto in qualità di agente senior antiriciclaggio nella mastodontica Wachovia Bank ossessivo lo devi essere. Perché incunearsi nei pertugi dei bilanci, infilarsi a testa bassa nella massa informe dei conti correnti, spulciare senza requie le schede dei clienti della banca, non è una professione per tutti. Chi non accoglie di buon grado una certa dose di caos giornaliero? Il caos ti ricorda il posto che occupi su questa terra e ti rende più umano. (…) Martin comincia a leggere migliaia di pagine. Migliaia di pagine fatte di numeri. Eccolo qui, il bivio. All’inizio è insignificante, addirittura banale, come un qualsiasi traveller’s cheque. Quando pensi a quei pezzi di carta, pensi a un turista responsabile che non vuole vedersi rovinata la vacanza solo perché in un momento di sbadataggine si è fatto fregare il portafogli. Male che vada, pensa il turista, i miei soldi sono al sicuro. Pensi a un allegro padre di famiglia che ha passato un anno a lavorare come un mulo e ora vuole staccare la spina e godersi il meritato riposo insieme ai suoi cari. Magari in Messico, dove colorati depliant promettono sole, mare e l’affabile cortesia degli abitanti del posto. Ma di quanti soldi ha bisogno un turista? Quanto costano i souvenir? Sono le domande che Martin si pone quando fa la somma dei traveller’s cheque di alcuni clienti della banca. Una cifra mostruosa. Quanti Margarita ci compri con quel danaro? Quanti sombrero da regalare ai parenti? I numeri di serie sono sequenziali. Quante probabilità ci sono che sia un caso? Praticamente nulle. E come mai tutte quelle “p” e quelle “b” nelle firme dei traveller’s cheque sono così bombate? Non serve un esperto calligrafico per farti solleticare da un sospetto. Ecco il bivio. La strada è già stata intrapresa. E poi tutto accelera. Funziona così, è una regola spietata e inderogabile, più precisa di qualsiasi legge fisica. Martin martella i suoi superiori, vuole fare chiarezza sulle anomalie che ha riscontrato. Deve esserci qualcosa dietro quel danaro che passa attraverso le agenzie di cambio messicane. E in effetti qualcosa c’è. Ci sono i milioni di dollari che il cartello di Sinaloa, il più potente e ricco dei cartelli messicani della droga, fa transitare dalle casas de cambio per un bel risciacquo prima di atterrare belli splendenti sui conti della Wachovia Bank. (…)
Martin ha ficcato il naso dove non doveva e rischia di scoperchiare un pentolone brulicante di interessi planetari. La sua storia finirà bene. Nonostante il silenzio, l’emarginazione, l’esaurimento nervoso, alla fine arriveranno la riabilitazione e le scuse ufficiali. Il bivio lo ha condotto dentro un territorio oscuro, una foresta frondosa che non faceva passare la luce, fino al primo bagliore tra le foglie. (…) Anch’io ho conosciuto Artur Paz Semedo. Non lavorava nei servizi di fatturazione di armamento leggero e munizioni della Bellona S.A. e non ha avuto una ex
moglie pacifista. Non viveva in Italia. Probabilmente non ha mai preso in mano una pistola, figuriamoci se ha mai pensato di sparare un colpo. Ma anch’io ho conosciuto Artur Paz Semedo e il suo nome era Tim Lopes. La sua arma era la passione. Una bruciante passione.
Tim Lopes nasce in una favela di Rio. Con un’idea, un talento e un problema. L’idea era che scrivere dei problemi che affliggevano il Brasile e farli conoscere al mondo fosse il primo passo per risollevare il paese. Il talento era la sua capacità di stanare le storie migliori dagli angoli delle strade e riportarle alla luce. (…) Negli anni novanta comincia a inanellare premi per i suoi reportage. Tim si traveste, assume false identità, introduce microcamere nascoste nei vicoli più pericolosi di Rio. Parla con tutti, senza mai perdere il sorriso e la passione febbricitante per le cose belle della vita, come correre sul lungomare o ballare la samba. Da una parte ci sono il sole, le spiagge, il rumore delle onde. Dall’altra il nero del suo lavoro. (…) Sente il bisogno di andarsene, Tim, ritirarsi in qualche posto sperduto a pensare. Per una volta fregarsene dei problemi che nemmeno lo Stato riesce a risolvere. Ma riceve un grido di aiuto. Gli abitanti della favela Vila Cruzeiro, sotto il giogo del Comando Vermelho, non sanno più di chi fidarsi. Chi sono i buoni? Chi sono i cattivi? Di certo quelli del Comando
non sono buoni, e lo stesso si può dire della polizia, inerte o spesso corrotta e connivente con i gruppi criminali. Rimane Tim. Lui è buono. Di lui ci si può fidare, anche se, come dicono quelli della favela, appartiene “all’asfalto”, cioè vive dove le strade sono appunto asfaltate, non come lì a Vila Cruzeiro dove tutto è sconnesso e bisogna fare lo slalom tra le pietre. Il comportamento dei trafficanti di Vila Cruzeiro è ormai intollerabile. Passi per lo spaccio alla luce del sole che ormai è triste consuetudine, ma quelli del Comando hanno messo gli occhi sulle ragazze minorenni della favela. Chi si rifiuta di fare sesso con loro durante le feste funk la pagherà cara. Tim deve documentare le barbare usanze del Comando e spiattellarle all’opinione pubblica. Sceglie la tecnica ormai collaudata: individua una boca de fumo, si assicura di
non avere con sé oggetti come cellulare e documenti che potrebbero identificarlo nel caso qualcuno si insospettisse (ormai a Rio è un volto noto e deve proteggersi anche dalla fama) e si munisce della solita microcamera che camuffa nella cintura. Ma quella sera proprio le precauzioni e il curriculum tradiscono Tim.
André da Cruz Barbosa detto “André Capeta” (“Diavolo”) e Maurício de Lima Bastos “o Boizinho” (“Il piccolo bue”), due del Comando, si avvicinano a quello strano tipo appoggiato al bancone del bar. «Che cazzo è quella luce? » «Sono un giornalista, posso spiegare».
Ma senza documento come possono credergli? E anche se gli credessero, Tim rimarrebbe sempre un maledetto infame. Meglio condurlo dal capo, da Elias Pereria da Silva, detto “Maluco” (“Il pazzo”). (…) Quello che segue è un elenco di torture e umiliazioni dopo un processo farsa improvvisato su una collina abbandonata del Complexo do Alemão. Il “tribunale criminale” dei narcos si riunisce per deliberare una decisione già presa: Tim deve morire. Per quelli del Comando è una spia e c’è un rituale preciso da seguire per le spie. I preliminari possono variare molto – nel caso di Tim furono usate sigarette per bruciargli gli occhi e una spada ninja per mutilarlo – ma il finale è sempre uno: il microonde. È un cilindro composto da pneumatici impilati al cui centro viene infilata la vittima. Poi la si innaffia con la benzina e si dà fuoco. Una pira narcos. Di Tim Lopes sappiamo tutto, o quasi. Purtroppo non sapremo mai che cosa si nasconde nelle scaffalature cariche di scatole di cartone che Artur Paz Semedo guarda preoccupato. La verità o la punizione per avere osato troppo? (…) È senso del dovere quando ami di un amore infuocato il tuo mestiere e davanti a un aut aut scegli secondo coscienza. Da una parte la vita protetta da un silenzio imposto, dall’altra la morte preceduta da un ultimo grido di verità.
© 2-014, Roberto Saviano. All rights reserved
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IL LIBRO
Alabarde Alabarde di José Saramago ( Feltrinelli, pagg. 109, euro 10)


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