Gli «Stati falliti»

Gli «Stati falliti»

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Men­tre dalla Libia in fiamme migliaia di uomini, donne e bam­bini, spinti dalla dispe­ra­zione, ten­tano ogni giorno la tra­ver­sata del Medi­ter­ra­neo, e molti vi per­dono la vita, il pre­si­dente Napo­li­tano avverte: «Attenti ai foco­lai che ci cir­con­dano», a comin­ciare dalla «per­si­stente insta­bi­lità e fra­gi­lità della situa­zione in Libia». Dimen­tica, e con lui la quasi tota­lità dei gover­nanti e poli­tici, che è stata pro­prio l’Italia a svol­gere un ruolo deter­mi­nante nell’accendere nel 2011 il «foco­laio» di quella guerra di cui l’ecatombe di migranti è una delle conseguenze.

Sulla sponda sud del Medi­ter­ra­neo, di fronte all’Italia, c’era uno Stato che – docu­men­tava la stessa Banca mon­diale nel 2010 – man­te­neva «alti livelli di cre­scita eco­no­mica», con un aumento medio del pil del 7,5% annuo, e regi­strava «alti indi­ca­tori di svi­luppo umano» tra cui l’accesso uni­ver­sale all’istruzione pri­ma­ria e secon­da­ria e, per il 46%, a quella di livello uni­ver­si­ta­rio. Nono­stante le dispa­rità, il tenore di vita della popo­la­zione libica era note­vol­mente più alto di quello degli altri paesi afri­cani. Lo testi­mo­niava il fatto che tro­va­vano lavoro in Libia circa due milioni di immi­grati, per lo più afri­cani. Que­sto Stato, oltre a costi­tuire un fat­tore di sta­bi­lità e svi­luppo in Nor­da­frica, aveva favo­rito con i suoi inve­sti­menti la nascita di orga­ni­smi che un giorno avreb­bero potuto ren­dere pos­si­bile l’autonomia finan­zia­ria dell’Africa: la Banca afri­cana di inve­sti­mento, con sede a Tri­poli; la Banca cen­trale afri­cana, con sede ad Abuja (Nige­ria); il Fondo mone­ta­rio afri­cano, con sede a Yaoundé (Camerun).

Dopo aver finan­ziato e armato set­tori tri­bali ostili a Tri­poli, facendo sì che la «pri­ma­vera araba» assu­messe in Libia sin dall’inizio la forma di insur­re­zione armata pro­vo­cando la rispo­sta gover­na­tiva, lo Stato libico fu demo­lito con la guerra nel 2011: in sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effet­tuava 10mila mis­sioni di attacco, con oltre 40mila bombe e mis­sili. A que­sta guerra par­te­cipò l’Italia con le sue basi e forze mili­tari, strac­ciando il Trat­tato di ami­ci­zia, par­te­na­riato e coo­pe­ra­zione tra i due paesi. «Nel ricordo delle lotte di libe­ra­zione e del 25 aprile – dichia­rava il pre­si­dente Napo­li­tano il 26 aprile 2011 – non pote­vamo restare indif­fe­renti alla san­gui­na­ria rea­zione del colon­nello Ghed­dafi in Libia: di qui l’adesione dell’Italia al piano di inter­venti della coa­li­zione sotto guida Nato». Durante la guerra veni­vano infil­trate in Libia forze spe­ciali, tra cui migliaia di com­mando qata­riani, e allo stesso tempo finan­ziati e armati gruppi isla­mici fino a pochi mesi prima defi­niti terroristi.

Signi­fi­ca­tivo è che le mili­zie isla­mi­che di Misu­rata, che lin­cia­rono Ghed­dafi, occu­pano ora l’aeroporto di Tri­poli. In tale qua­dro si sono for­mati i primi nuclei dell’Isis che, pas­sati poi in Siria, hanno costruito il grosso della loro forza lan­ciando quindi l’offensiva in Iraq. Svol­gendo un ruolo di fatto fun­zio­nale alla stra­te­gia Usa/Nato di demo­li­zione degli stati attra­verso la guerra coperta. «È ormai evi­dente – dichiara il pre­si­dente Napo­li­tano – che ogni Stato fal­lito diviene ine­vi­ta­bil­mente un polo di accu­mu­la­zione e dif­fu­sione glo­bale dell’estremismo e dell’illegalità».

Resta solo da vedere quali sono gli «Stati fal­liti». Non sono gli Stati nazio­nali come Libia, Siria e Iraq che, situati in aree ric­che di petro­lio o con una impor­tante posi­zione geo­stra­te­gica, sono del tutto o in parte fuori del con­trollo dell’Occidente, e ven­gono quindi demo­liti con la guerra. Sono in realtà i mag­giori Stati dell’Occidente che, tra­dendo le loro stesse Costi­tu­zioni, sono fal­liti come demo­cra­zie, ritor­nando all’imperialismo ottocentesco.


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