Gaza, strage di civili ancora bombe sull’ Onu “È un attacco criminale”
GAZA. SI FERMANO le operazioni terresti ma la guerra continua, e fa ancora vittime. Quasi cento morti ieri nella Striscia dove se i militari si sono ritirati dal terreno di Gaza, droni, caccia F-16 e navi hanno proseguito nel tiro al bersaglio. Per la terza volta in dieci giorni un’altra strage si è consumata in una scuola dell’Unrwa a Rafah, trasformata in alloggio per oltre tremila sfollati, che riempivano ogni possibile spazio vitale. Il mattonato della scuola con la bandiera blu dell’ Onu già di prima mattina era una pozzanghera di sangue, stracci, vestiti e materassi abbandonati. I soccorritori che si affannavano per evacuare i feriti, davanti a una folla attonita, smarrita di fronte a quell’orrore con decine di bambini tra le braccia. «Nessuno ci protegge», urla tra le lacrime una donna sola mentre si percuote il petto. Alcuni dei feriti, tra i quali i bambini con bende testa insanguinata, sono stati trasportati in un ospedale kuwaitiano a Rafah e altri venivano trattati in quello che sembrava essere una clinica improvvisata sotto una tenda. Diversi cadaveri, avvolti in un panno bianco, erano allineati sul pavimento.
Una strage di dieci innocenti che il segretario generale dell’ Onu Ban Ki-moon ha definito uno scandalo dal punto di vista morale e «un atto criminale, una chiara violazione del diritto umanitario internazionale», senza mai nominare espressamente Israele ma sottolineando che l’Idf è al corrente delle coordinate di tutti gli impianti Onu nella Striscia. Gli Stati Uniti lo hanno definito un bombardamento «vergognoso e oltraggioso». I colpi sparati erano destinati — secondo la versione fatta circolare dall’esercito israeliano — a tre “sospetti” che si aggiravano in moto nella zona, ma si è schiantato sul cancello devastando con la sua forza esplosiva e le sue schegge il cortile dove si trovavano in quel momento centinaia di persone. Per Rafah, dove l’inferno di fuoco non si è mai interrotto da venerdì scorso, non era ancora finita. Un altro missile ha colpito in pieno la casa della famiglia Al-Ghul, decimando i presenti, nove membri della famiglia sono rimasti sotto le macerie.
Questa città del sud estesa e traboccante verso l’Egitto è sotto gli attacchi aerei e il bombardamento
dell’artiglieria da quando, venerdì scorso, tre soldati israeliani sono stati uccisi nei combattimenti di terra e il cessate- il-fuoco annunciato da John Kerry è sfumato nello spazio di 90 minuti. Da allora a oggi, solo a Rafah sono morte 200 persone, tutti civili. Una tragica contabilità che porta a oltre 1.800 il numero dei palestinesi uccisi e quasi novemila i feriti. E stando ai rapporti dell’ Onu il 74% delle vittime sono civili. In Israele sono 64 i militari caduti, e tre i civili uccisi.
«Questa follia deve finire», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, mentre gli appelli per una «tregua umanitaria» della comunità internazionale cadono nel vuoto. Questa è la terza volta in dieci giorni che un bombardamento colpisce una scuola dell’Unrwa facendo vittime. Trenta palestinesi sono stati uccisi fra coloro che avevano cercato protezione sotto la bandiera dell’ Onu negli attacchi contro le scuole di Beit Hanoun il 24 luglio e il 31 luglio a Jabaliya, centinaia i feriti.
Mentre i bombardamenti proseguivano, erano ben visibili per le fontane di sabbia che sollevano, un centinaio di carri armati israeliani ed altri veicoli cingolati mentre viaggiavano verso il confine della Striscia, percorrendo in senso inverso le piste che a gran velocità avevano percorso lo scorso 17 luglio, quando l’operazione “Confine protettivo” si era trasformata in una vasta operazione di terra. Ufficialmente l’esercito israeliano ha confermato solo ieri per la prima volta che ha iniziato a ritirare un certo numero di truppe. «Ritiriamo i reparti, cambiamo un po’ la dislocazione sul territorio, la missione è in corso», annuncia il portavoce dell’esercito, Peter Lerner.
Nella Striscia esplode la catastrofe umanitaria. La “cessazione delle ostilità” in alcune aree e l’invito dell’esercito israeliano a rientrare nei villaggi a nord della Striscia, come Beit Hanoun e Beit Lahiya, non hanno avuto nessun effetto. La popolazione è terrorizzata da una ripresa dei bombardamenti. Qui, anche ieri droni e caccia F-16 hanno proseguito i loro raid. Dalle scuole dell’Unrwa non c’è stato un controesodo. Sono ormai 270 mila gli sfollati accampati e sotto la bandiera dell’ Onu non c’è più posto. Come ha scoperto Ahmad Abu Amsha, capofamiglia di un clan numeroso. E trovare posto a Gaza per una famiglia allargata di 56 persone non è un esercizio semplice. Dopo aver vagato da una scuola all’altra ha deciso di “occupare” pacificamente tre magazzini vuoti. Ahmad gesticola e nemmeno più lui riesce a contare i parenti che si accalcano su materassi e coperti stesi sul pavimento. Abitavano tutti a Beit Hanoun, che è solo un chilometro più avanti, da dove sono scappati a gruppetti di due-tre sotto un diluvio di fuoco a metà luglio. I tre magazzini — dove sono stipati in più di cento — servono solo per dormire e stare durante il giorno, racconta Ahmad, «per il cibo c’è l’aiuto e la solidarietà dei vicini, per lavarci e magari una doccia andiamo alla moschea che ha l’acqua ma anche il generatore per caricare il cellulare. Lo so che è un rischio, perché bombardano pure le moschee ma dobbiamo pur lavarci, dobbiamo restare umani»
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