La Fiat se ne va

La Fiat se ne va

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E’ arri­vato il giorno annun­ciato già da molto tempo e gli azio­ni­sti della Fiat hanno appro­vato uffi­cial­mente, con un’assemblea straor­di­na­ria, la fusione con la Chry­sler e il tra­sfe­ri­mento del quar­tier gene­rale del gruppo. Peral­tro, non tutto è andato in modo com­ple­ta­mente lineare e degli azio­ni­sti rap­pre­sen­tanti il 15% del capi­tale totale hanno votato con­tro l’operazione; ma tale voto, se potrà in qual­che modo porre even­tual­mente qual­che dif­fi­coltà e pro­durre dei ritardi nei tempi dell’operazione, non potrà certo impe­dire comun­que a lungo lo svol­gersi degli adem­pi­menti come pro­gram­mati dagli azio­ni­sti di maggioranza.

Come è noto, la sede legale verrà spo­stata in Olanda e quella fiscale in Gran Bre­ta­gna, men­tre la quo­ta­zione in borsa sarà por­tata a Wall Street.

Si tratta di una deci­sione alta­mente sim­bo­lica: l’azienda è stata per circa 100 anni, in par­ti­co­lare dallo scop­pio della prima guerra mon­diale in poi — quando comin­ciò ad assu­mere delle grandi dimen­sioni con le for­ni­ture belliche-, di gran lunga quella che ha pesato di più sulle vicende eco­no­mi­che e poli­ti­che del paese.

Fiat ha accom­pa­gnato e anche in parte gui­dato per tutto que­sto tempo lo svi­luppo italiano.

Solo il gruppo Iri, per una ven­tina di anni, è riu­scito a suo tempo a scal­fire tale pri­mato e per un tempo più breve, almeno in parte, anche l’Eni di Mattei.

La fuga degli Agnelli si svolge men­tre molte altre aziende nazio­nali ridu­cono la loro pre­senza nel nostro paese e tante altre vedono gli azio­ni­sti nazio­nali pas­sare la mano, sosti­tuiti dal capi­tale stra­niero dei paesi più dispa­rati. In que­sti stessi giorni, così, la Rot­ta­pharm, impor­tante impresa far­ma­ceu­tica, viene acqui­stata da capi­tali sve­desi. L’Eni con­ferma, oltre alla chiu­sura delle raf­fi­ne­rie, la ces­sione della Sai­pem – uno degli ultimi gio­ielli rima­sti in casa– che non potrà che finire in mani estere, men­tre la Cassa Depo­siti e Pre­stiti cede un terzo delle quote di con­trollo di Snam e Terna a inve­sti­tori cinesi.

Aspet­tia­moci altre impor­tanti novità ana­lo­ghe nelle pros­sime set­ti­mane, a meno che le vacanze di ago­sto non spin­gano a riman­dare un poco la chiu­sura delle varie ope­ra­zioni. Si tratta, nella sostanza, di una fuga disor­di­nata e senza alcuna guida, men­tre il nostro governo ha tante altre cose cui sag­gia­mente pensare.

Va inci­den­tal­mente segna­lato come la nostra Agen­zia delle Entrate non abbia mosso nean­che un soprac­ci­glio alla noti­zia dell’esodo degli Agnelli, giu­di­cando il tutto come per­fet­ta­mente rego­lare sotto il pro­filo fiscale. Ma allora, come si chiede qual­cuno, per­ché la stessa Agen­zia appare così ner­vosa per i casi, alla fine sostan­zial­mente ana­lo­ghi, delle grandi imprese sta­tu­ni­tensi ope­ranti nel set­tore dell’Infor­ma­tion Tech­no­logy?

Ma al di là del signi­fi­cato sim­bo­lico dell’operazione, essa potrebbe avere delle con­se­guenze pra­ti­che rilevanti.

Intanto, negli uffici di dire­zione del gruppo lavo­rano ancora oggi a Torino circa 5000 per­sone. L’azienda non dice nulla in pro­po­sito, ma come non pen­sare che una parte almeno dei dipen­denti, ad esem­pio quelli ammi­ni­stra­tivi e tec­nici, non saranno licen­ziati, o, nel migliore dei casi, non saranno invi­tati ad andare a lavo­rare in climi più freddi?

Paral­le­la­mente, per quanto riguarda i livelli di pro­du­zione delle auto nel nostro paese, se andasse tutto bene essi rag­giun­ge­reb­bero nel 2018 sì e no il 10% del totale delle pro­du­zioni del gruppo; il piano Mar­chionne pre­vede che siano comun­que rias­sor­biti con il tempo tutti i cas­sain­te­grati ita­liani. Ma tale pro­gramma è stato valu­tato da molte parti come non inte­ra­mente cre­di­bile e comun­que molte cose riman­gono ancora parec­chio nel vago per quanto riguarda i livelli di atti­vità dei vari stabilimenti.

I timori che non tutto filerà liscio ven­gono rin­for­zati, da una parte, dalle voci ricor­renti su col­lo­qui con altre case del set­tore per even­tuali unioni orga­ni­che, dall’altra, dai primi risul­tati con­sun­tivi di mer­cato, eco­no­mici e finan­ziari per il 2014.

Già i dati del primo tri­me­stre dell’anno in corso non sem­bra­vano entu­sia­smanti. Quelli del secondo, appena pub­bli­cati, appa­iono anch’essi rela­ti­va­mente poco brillanti.

Nella sostanza il gruppo delude ancora una volta le attese del mer­cato. L’utile ope­ra­tivo e il mar­gine ope­ra­tivo lordo, invece di aumen­tare, sono in calo rispetto allo stesso periodo dell’anno pre­ce­dente, ma soprat­tutto poi l’utile netto appare sostan­zial­mente dimezzato.

Per quanto riguarda l’intero primo seme­stre, lo stesso utile netto risulta azze­rato, men­tre nel cor­ri­spon­dente periodo del 2013 esso era pari a quasi 500 milioni di euro.

Va segna­lato in par­ti­co­lare il tra­collo delle ven­dite in Ame­rica Latina (-20%), area dalla quale la vec­chia Fiat traeva la gran parte dei suoi utili, men­tre regge l’Europa e aumen­tano le ven­dite negli Usa, paese dove però la red­di­ti­vità appare in calo; si tratta di una noti­zia parec­chio pre­oc­cu­pante. Molto posi­tivo solo il dato della Mase­rati che vede un forte aumento del fat­tu­rato e dei margini.

Alla fine il qua­dro com­ples­sivo mostra parec­chi ele­menti di inquietudine.



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