La Fed: “La ripresa c’è ma non alziamo i tassi”
NEW YORK . La ripresa americana si sta consolidando, ma i miglioramenti dell’occupazione non sono ancora abbastanza solidi da giustificare un anticipo dei rialzi dei tassi. E’ questa la conclusione del dibattito interno alla Federal Reserve “fotografata” quasi un mese fa dalle minute che trascrivono gli interventi dei vertici della banca centrale. Nella loro riunione del 29 e 30 luglio i capi della Fed si sono concentrati su questo tema: se lo scenario dell’inflazione, e la situazione sul mercato del lavoro, giustifichino un rialzo dei tassi d’interesse direttivi prima del previsto. La scadenza finora evocata è quella di metà 2015. E tale rimane, per adesso. Il dibattito ai vertici della Fed è vivace, le voci dei “falchi” si fanno più vigorose via via che la crescita continua, ma per ora gli equilibri interni sono a favore delle “colombe”. La colomba per eccellenza essendo proprio Janet Yellen, la presidente. Per “falchi” s’intendono coloro che pensano che la creazione di liquidità sia stata più che sufficiente, perfino eccessiva, e che stia spuntando all’orizzonte
pericolo dell’inflazione, col sovrappiù di nuove bolle speculative. Le “colombe”, Yellen in testa, vedono invece una crescita ancora troppo fiacca, un mercato del lavoro fragile, sacche di disoccupazione visibili o invisibili che richiedono ancora un sostegno monetario agli investimenti delle imprese. In quanto alle bolle speculative, che probabilmente ci sono (in alcuni comparti dei titoli mobiliari e in alcune zone del mercato immobiliare) la Yellen ha un’opinione netta: le bolle si combattono introducendo regole specifiche, mirate contro i comportamenti speculativi, non si combattono alzando il costo del denaro. Tra le azioni che possono servire a limitare gli eccessi speculativi va inclusa anche la sanzione della giustizia: l’ultimo caso è di ieri, il patteggiamento record con cui la Bank of America ha accettato di pagare 17 miliardi di dollari di indennizzi ai clienti danneggiati dalle operazioni sui titoli strutturati (titoli di credito legati ai mutui).
«Molti partecipanti — si legge nella sintesi delle minute Fed — hanno osservato che se la convergenza dei dati economici verso gli obiettivi fosse più rapida del previsto, bisognerebbe cominciare a rimuovere la politica monetaria espansiva prima del previsto. Ma la maggioranza dei partecipanti ha indicato che mancano ulteriori conferme prima di giustificare un cambiamento di aspettative».
Dunque per ora prevale lo status quo. Gli interessi rimangono a quota zero, come lo sono dalla fine del 2008. E il “quantitative easing”, cioè la politica di acquisti di bond sul mercato — prosegue il suo ridimensionamento che lo porterà a cessare entro la fine dell’anno sempre secondo la tabella di marcia prestabilita. Tra le ragioni della prudenza i vertici della Fed citano le incertezze geopolitiche (Ucraina e Medio Oriente) che già hanno contribuito al rallentamento dell’eurozona. Ma un’altra debolezza è interna: il reddito medio delle famiglie americane è sostanzialmente fermo; anche se l’occupazione aumenta, i salari restano immobili. Questo contribuisce a spiegare perché alla discesa del tasso di disoccupazione (che ora è del 6,2% contro il 7,3% un anno prima) non ha corrisposto un ritorno dell’inflazione: l’indice di aumento dei prezzi resta stabilmente sotto l’obiettivo del 2% fissato dalla banca centrale. Su questi temi domani la Yellen parla al tradizionale raduno dei banchieri centrali a Jackson Hole nel Wyoming.
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