Eataly Firenze, primo sciopero contro l’impresa (e la filosofia) new age di Farinetti

Eataly Firenze, primo sciopero contro l’impresa (e la filosofia) new age di Farinetti

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Primo scio­pero della breve sto­ria di Eataly a Firenze, la filiale più sim­bo­lica che c’è nell’impresa fon­data dal pila­stro dell’imprenditoria ren­ziana Natale detto Oscar Fari­netti, nel cen­tro della città che ha lan­ciato l’avventura poli­tica dell’attuale pre­si­dente del Consiglio.

La pro­te­sta di due giorni, sabato 30 e dome­nica 31 ago­sto, è stata decisa da alcuni gio­vani dipen­denti, assunti con con­tratti a ter­mine attra­verso un’agenzia inte­ri­nale, ai quali l’azienda ha comu­ni­cato che non saranno rin­no­vati. Con loro, sosten­gono i lavo­ra­tori ci sono «altri 60 ragazzi, in pra­tica il 50% del per­so­nale del negozio».

Il nego­zio di Firenze è stato inau­gu­rato a dicem­bre 2013 dal patron Oscar Fari­netti e dall’allora sin­daco Mat­teo Renzi, dopo la ristrut­tu­ra­zione dei locali della libre­ria Mar­telli. In pre­ce­denza que­sti locali che si chia­ma­vano Mar­zocco e prima Bem­po­rad, dal nome dello sto­rico edi­tore che pub­blicò «Le avven­ture di Pinoc­chio» di Carlo Collodi.

Non è la prima volta che Fari­netti acqui­sta e tra­sforma il senso dei luo­ghi dove si è distri­buita, o pro­dotta, la cul­tura. È acca­duto anche al tea­tro Sme­raldo di Milano, dove Eataly ha aperto una gigan­te­sca filiale assurta più volte agli onori della cro­naca. Da ultimo gra­zie alla con­te­sta­zione noExpo nei primi giorni di mag­gio 2014.

In quanti lavo­rano a Eataly Firenze?

Nel corso della mani­fe­sta­zione, alla quale hanno preso parte alcune decine di per­sone è stato distri­buito un curioso volan­tino rivolto soprat­tutto ai clienti. Oltre alla spie­ga­zione dei motivi della pro­te­sta, il volan­tino è cor­re­dato da un tagliando da stac­care e con­se­gnare alle casse sul quale c’è scritto: «Soli­dale con i lavo­ra­tori dello store Eataly di Firenze, da domani non com­prerò più nei vostri negozi. Un cliente non indif­fe­rente». Nel docu­mento i lavo­ra­tori spie­gano anche di rico­no­scere la «fran­chezza» di Eataly nel suo slo­gan di punta: Eataly è l’Italia. «Con­tratti pre­cari, licen­zia­menti, sfrut­ta­mento. In pra­tica, una foto­gra­fia del nostro Paese».

In un comu­ni­cato i Cobas, che sosten­gono i lavo­ra­tori in scio­pero, hanno pun­tua­liz­zato le ragioni della cla­mo­rosa pro­te­sta: «Il man­cato rin­novo dei con­tratti di som­mi­ni­stra­zione in sca­denza, la man­cata sta­bi­liz­za­zione dei con­tratti a tempo deter­mi­nato, le con­di­zioni di lavoro, la totale arbi­tra­rietà dell’azienda nell’organizzazione del lavoro, il rifiuto da parte dell’azienda ad un qual­siasi con­fronto con i lavoratori».

«Eataly vive di inte­ri­nali e que­sto è inac­cet­ta­bile – afferma Mas­si­mi­liano Bian­chi, segre­ta­rio della Fil­cams di Firenze — Eataly– con­ti­nua Bian­chi — è e resta un’opportunità per la città, cosa che abbiamo sem­pre soste­nuto. Ma non può diven­tare un pro­blema per le con­di­zioni di pre­ca­rietà dei lavo­ra­tori». La Fil­cams sostiene di non avere un dele­gato in Eataly Firenze e di incon­trare grandi dif­fi­coltà nella costi­tu­zione di una rap­pre­sen­tanza sindacale».

Un dato che rende con­fusa la situa­zione visto che i sin­da­cati non hanno «una quan­ti­fi­ca­zione pre­cisa dell’organico: sap­piamo solo che in via Mar­telli lavo­rano circa 40 inte­ri­nali, ma non cono­sciamo il numero totale dei lavo­ra­tori». Que­ste affer­ma­zioni tro­vano un riscon­tro nelle dichia­ra­zioni dei rap­pre­sen­tanti dei Cobas secondo i quali a Firenze ci sarebbe solo un rap­pre­sen­tante per la sicu­rezza nomi­nato dall’azienda, ma non uno nomi­nato dai lavoratori.

Fran­ce­sco Fari­netti, ammi­ni­stra­tore dele­gato Eataly, figlio del patron, ha rispo­sto: «I ragazzi che ci lavo­ra­vano erano 131, men­tre oggi sono 97, quindi non la metà. C’è stato un calo fisio­lo­gico che si deve al fatto che in fase di start up e in cor­ri­spon­denza del periodo nata­li­zio le per­sone pre­senti in nego­zio aumen­tano. Il feed­back che ave­vamo e che abbiamo oggi da Firenze però è posi­tivo e siamo dispo­ni­bili al dia­logo anche con i sindacati».

Guerra di cifre

La guerra delle cifre, sulle quali gli stessi sin­da­cati non hanno cer­tezza, non nasconde un ele­mento ricor­rente nell’apertura delle filiali Eataly in giro per l’Italia, e non solo. La fase di start-up viene usata da Fari­netti per dero­gare al limite legale sui con­tratti a tempo deter­mi­nato fis­sato della legge Biagi all’8% sul totale del personale.

In virtù degli ultimi rego­la­menti appro­vati, come la legge For­nero e la riforma Poletti, ogni pos­si­bile ver­tenza viene annul­lata per assu­mere una per­cen­tuale molto più alta e senza biso­gno di dare spie­ga­zioni di carat­tere tec­nico, pro­dut­tivo o orga­niz­za­tivo. In più, com’è acca­duto nella filiale di Bari, pro­vo­cando una selva di pole­mi­che alle quali Fari­netti ha ceduto, que­sto boom viene per­messo anche dagli enti locali che hanno la neces­sità di dimo­strare di fare qual­cosa con­tro la disoccupazione.

La rego­la­riz­za­zione poi è avve­nuta, i sin­da­cati si sono pla­cati, i poteri locali baresi hanno accet­tato la pre­senza di Fari­netti e quest’ultimo ha otte­nuto dalla Fiera del Levante che ospita i suoi colos­sali locali che la sua mostra tem­po­ra­nea diven­tasse un Eataly per­ma­nente. Fari­netti (“quello del Nord”) ha ade­guato la sua atti­tu­dine da colonizzatore-che-porta-il-lavoro-a-Sud con la richie­sta di un lavoro rego­lare. Atten­zione alle pro­por­zioni: 63 a tempo inde­ter­mi­nato, 66 appren­di­sti, 34 a tempo deter­mi­nato, 1 som­mi­ni­strato: 100 su 163 sono lavo­ra­tori a ter­mine. Ma il ter­mine quanto dura?

Fari­netti impren­di­tore politico

Ciò che i lavo­ra­tori e i sin­da­cati cri­ti­cano di Eataly è la sua gestione «a fisar­mo­nica» del per­so­nale. Una delle carat­te­ri­sti­che delle imprese post­mo­derne, e in par­ti­co­lare di quelle che lavo­rano sul bran­ding in maniera aggres­siva come Eataly. Si ragiona sul momento di start up, anche in virtù delle age­vo­la­zioni nor­ma­tive e del qua­dro poli­tico garan­tito dagli enti locali in dif­fi­coltà, ben felici di ospi­tare sui loro ter­ri­tori la gran­cassa di Farinetti.

Ma poi, una volta supe­rato lo «stato di ecce­zione», l’azienda ini­zia a ragio­nare con altri cri­teri: l’occupazione deve seguire il ritmo delle sta­gioni, ad esem­pio. Estate o inverno, le feste coman­date, i periodi che seguono le cam­pa­gne stampa o pub­bli­ci­ta­rie che rilan­ciano il mar­chio. Gli orga­nici si gon­fiano e si sgon­fiano, come le fisar­mo­ni­che. E suo­nano l’unica musica che piace al capo dell’impresa.

In que­sta stra­te­gia rien­tra anche un aspetto più «imma­te­riale»: le dichia­ra­zioni politico-programmatiche di Fari­netti che si è distinto negli ultimi tempi per avere detto al mee­ting di Rimini:

«In que­sti primi sei mesi il governo Renzi ha fatto tre o quat­tro mosse giu­ste, adesso biso­gna che dia ancora due o ore basto­nate grosse sul buon esem­pio, tipo sta­bi­lire defi­ni­ta­mente, domat­tina, un tetto mas­simo agli sti­pendi dei poli­tici, abo­lire le Regioni auto­nome, tipo secondo me met­tere un tetto mas­simo alle pen­sioni che devono essere uno stru­mento per con­ti­nuare a vivere decen­te­mente non per arricchirsi».

Oppure quella sul Sud del paese imma­gi­nato come Sharm-El-Sheik, un luogo dove por­tare turi­smo e mar­chi di qua­lità del gusto e del cibo:

«Il Sud Ita­lia è in una con­di­zione ter­ri­fi­cante molto piu’ grave i quello che si imma­gina. È strato fatto troppo wel­fare nelle isti­tu­zioni. Nel sud c’è da fare un unico grande Sharm El Sheikh dove ci va tutto il mondo in vacanza».

Dichia­ra­zioni improv­vi­sate, spesso spia­ce­voli, ma anche ica­sti­che, che rive­lano la men­ta­lità del patron e allu­dono ad una gene­rica quanto vel­lei­ta­ria voglia di «moder­niz­zare» il paese con pro­po­ste choc e incon­clu­denti. Come quelle pro­fe­rite dal suo rife­ri­mento e sodale poli­tico Renzi. Sono espres­sioni che rien­trano evi­den­te­mente in una deli­neata stra­te­gia azien­dale e in una poli­tica del mar­chio. Per capire l’impresa Eataly, biso­gna inter­pre­tare il suo capo indi­scusso come un impren­di­tore politico.

L’uso a fisar­mo­nica del personale

Un impren­di­tore che ha un’idea padro­nale dei rap­porti sin­da­cali («I sin­da­cati sono il medioevo») e par­te­na­li­stico con i suoi dipen­denti, inqua­drati con con­tratti che per­met­tono a mala­pena di soprav­vi­vere e richie­dono uno sforzo sup­ple­men­tare ai dipen­denti, spesso non coperto dai con­tratti. Rac­con­tano i lavo­ra­tori fiorentini:

«Non ho mai par­lato con un diri­gente – ha detto un ex dipen­dente a cui non è stato rin­no­vato il con­tratto — Dodici giorni prima della fine del mio con­tratto, dopo tre assun­zioni, mi è stato comu­ni­cato che la mia posi­zione non sarebbe stato riconfermata».

«C’è una fles­si­bi­lità ine­si­stente. L’orario set­ti­ma­nal­mente viene fatto con un pre­av­viso minimo. La dome­nica viene attac­cata in bacheca la lista dei turni dal lunedì in poi: abbiamo cioè un pre­av­viso anche infe­riore alle 24 ore. È dif­fi­cile orga­niz­zarsi libe­ra­mente la vita così».

Secondo que­sto lavo­ra­tore, così si vive nei negozi Eataly:

«Un altro pro­blema è che non esi­stono canali di comu­ni­ca­zione fra dipen­denti, e di que­sti con la diri­genza azien­dale. Non ci sono assem­blee sin­da­cali e l’ingresso a lavoro la mat­tina avviene a sca­glioni. Ma addi­rit­tura per evi­tare il rischio di far comu­ni­care troppo i lavo­ra­tori tra sé, l’azienda non si prende nean­che la briga di incon­trare in gruppo i dipen­denti per par­lare di pro­blemi o comu­ni­care novità. Ogni comu­ni­ca­zione viene data in bacheca (…) È impos­si­bile tra­smet­tere un disa­gio e spe­rare di essere ascol­tati. Anche quando qual­cuno ha pro­vato a pro­te­stare per­ché era stato posto un limite di mezzo litro d’acqua a dipen­dente al giorno, è stato preso da parte ed è stato ripreso con frasi tipo “usi parole forti…”. È inu­tile e impos­si­bile sol­le­vare que­stioni, anche su cose basi­lari e beni pri­mari come l’acqua potabile».

In un clima di silen­ziosa minac­cia emerge un aspetto cen­trale della gestione del per­so­nale, l’uso stra­te­gico dei contratti:

«Ven­gono fatti con­tratti con meno ore di quante ne ser­vono in realtà. Quindi per esem­pio all’azienda serve un lavo­ra­tore per 32 ore, ma pro­pone un con­tratto da 26, per poter poi ridurre libe­ra­mente l’orario all’occorrenza. Oppure se in alcuni reparti sa che qual­cuno dovrà lavo­rare più di 40 ore set­ti­ma­nali, fa con­tratti for­fet­tari a 1100 euro, per evi­tare di dover pagare straordinari».

«Armo­nia» eataliana

Uno degli ele­menti più inte­res­santi emersi nello scio­pero fio­ren­tino è la descri­zione dell’ideologia azien­dale fatta in una let­tera inviata dai lavo­ra­tori pochi giorni prima dello scio­pero. Eataly ha infatti un «mani­fe­sto dell’armonia». I suoi punti prin­ci­pali sem­brano essere ispi­rati a filo­so­fie oli­sti­che, alla con­su­lenza filo­so­fica e, in gene­rale, ai manuali sul capi­tale umano. Il con­cetto cen­trale è l’armonia con se stessi, con il mondo, il cibo con­si­de­rato il momento di media­zione prin­ci­pale tra il sin­golo ato­miz­zato e un mondo fatto di bel­lezza, bontà e deli­zia per il palato:

«Il primo modo per stare in armo­nia con le per­sone è saper ascol­tare cer­cando spunti per cam­biare o miglio­rare le pro­prie idee».

Ancora più inte­res­sante è il rap­porto con il denaro:

«Il denaro può allon­ta­nare dall’armonia. Biso­gna avere sem­pre ben pre­sente che il denaro è un mezzo e non un fine. Deve essere meritato».

Come in tutti i rap­porti di potere, fon­da­men­tal­mente asim­me­trici, que­sto signi­fica che i lavo­ra­tori devono spac­carsi la schiena, lavo­rando 24 ore al giorno a 800?1100 euro al mese, senza alcuna cer­tezza di vedersi rin­no­vare il loro magro con­tratto, e con il rischio di essere licen­ziati (cioè non «rin­no­vati») in ogni momento. È lo sfondo ideo­lo­gico della «meri­to­cra­zia» e dell’idea che il sala­rio vada legato alla «pro­dut­ti­vità». Una disci­plina antica da poco tor­nata nelle parole del gover­na­tore della Bce Mario Dra­ghi e pre­sente con mille varianti in tutti i soste­ni­tori della «meri­to­cra­zia» tra gli inse­gnanti a scuola, ad esempio.

La natura sopra di me, Eataly den­tro di me

Stella polare nel mondo eata­liano è il cibo e, in gene­rale, la natura.

«L’armonia con le cose si ottiene ben sapendo che le cose sono di gran lunga meno impor­tanti delle per­sone. Molto impor­tante è invece la natura. Il primo modo per esserne in armo­nia è rispettarla».

Sopra le teste dei lavo­ra­tori, e dei con­su­ma­tori che fre­quen­tano a caro prezzo i negozi Eataly, esi­ste una sepa­ra­zione tra cose e per­sone. Nella filo­so­fia oli­stica di Eataly la natura è il media­tore per­fetto che riporta ordine nel desi­de­rio egoi­stico delle per­sone oppure tra chi pensa di ridurre a cose le per­sone. In que­sta natura viene annul­lata la persona.

«Noi siamo solo soldi, numeri, voci di spesa. Nes­suno ci ha mai con­si­de­rato dav­vero per­sone, ma ingra­naggi da inse­rire nel “modello Eataly” — scri­vono i lavo­ra­tori nella let­tera — un modello basato sulla grande distri­bu­zione di pro­dotti ali­men­tari, una mac­china in cre­scita che non può incep­parsi sugli individui.



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