Draghi e la trappola del rigore
La Fed resta pragmatica e se la situazione del mercato del lavoro negli Usa confermerà il miglioramento in corso potrebbe venire progressivamente abbandonata la politica di contrasto della crisi, attraverso un rialzo dei tassi di interesse, quasi a zero dal 2008. Mentre la Bce, ossessionata dai debiti e dai deficit pubblici e indifferente all’occupazione, tergiversa e non agisce con decisione per facilitare l’uscita dalla crisi della zona euro, sperando nella rivalutazione del dollaro rispetto alla moneta europea per rispondere all’angoscia sociale. È questo il contrasto che è andato in onda ieri al simposio di Jackson Hole, appuntamento annuale dei banchieri centrali nel Wyoming, con gli interventi di Janet Yellen e di Mario Draghi.
Janet Yellen resta sostanzialmente più “colomba” che falco e non dà nessuna precisazione sul calendario della fine della gestione di crisi: la presidente della Fed difende un approccio “pragmatico” e di wait and see. Yellen ha sottolineato che il mercato del lavoro Usa è stato profondamente perturbato dalla Grande Recessione e che ci sono ancora milioni di persone senza lavoro o costrette ad accettare un part time oppure addirittura scoraggiate a cercare un’occupazione. «Alzeremo i tassi più rapidamente del previsto se la situazione continua a migliorarsi più del previsto», ha affermato Yellen, anche se la presidente della Fed resta attenta alla «profondità dei danni» causati dalla recessione sul mercato del lavoro. Se la ripresa si conferma, gli operatori anticipano un rialzo dei tassi verso metà 2015. La disoccupazione Usa è al 6,2%, contro il 7,3% di un anno fa.
Sono cifre ben lontane dal disastro europeo, dove la disoccupazione è in media a due cifre (11,5%). Nel secondo trimestre di quest’anno, la crescita è stata nulla nella zona euro, secondo le statistiche di Eurostat pubblicate il 14 agosto scorso. Draghi ha accennato al dramma della disoccupazione, ma subito ha fatto riferimento alle “riforme”. La novità è il calo del pil tedesco, la “locomotiva” che perde forza con un meno 0,2%. La Francia resta al palo e l’Italia decresce e ricade nella recessione. I rischi di deflazione sono sempre più presenti. Ma la Bce prende tempo: non farà nulla prima di settembre e prima del programma di prestiti per la piccola e media impresa (attraverso le banche) che dovrebbe venire varato prossimamente.
Draghi non si smuove dalla posizione tradizionale, lanciando appelli ai singoli stati perché applichino le “riforme”: il credo resta che le riforme strutturali sono la premessa della ripresa. Viene portato l’esempio di alcuni paesi periferici — Spagna, Portogallo, Irlanda o persino la Grecia — che dopo aver sofferto lacrime e sangue adesso starebbero dando qualche segnale di ripresa. Una lettura di parte, visto che molti economisti vedono soltanto un rimbalzo dopo una profonda recessione e non l’effetto-miracolo delle riforme strutturali, come la flessibilizzazione del lavoro. La Francia è con le spalle al muro. François Hollande ha appena confermato che andrà «più in fretta e più lontano» nelle politiche di riforme strutturali e che «non esiste scappatoia» al rigore, sempre più contestato anche nel Ps (mentre l’ex ministra Verde, Cécile Duflot, ha appena pubblicato un libro al vetriolo accusando Hollande di non essere più «il presidente di nessuno» con la sua scelta di austerità).
Ma Angela Merkel non vuole sentire ragioni. Questa settimana ha di nuovo insisto sulle sanzioni che devono punire i paesi che non rispettano i parametri. Non ha citato esplicitamente Francia o Italia, ma ha ribadito la sua posizione ortodossa: «Con il 7% della popolazione mondiale, il 25% del pil mondiale e il 50% delle spese sociali mondiali» l’Ue per Merkel deve recuperare competitività per mantenere il suo posto nell’economia mondiale. Gli Usa hanno una popolazione giovane, mentre la Germania è un paese di vecchi, questa è la base della posizione di Merkel. Peccato che la Francia abbia anch’essa una percentuale consistente di giovani. Draghi è così paralizzato dalla eterogeneità delle situazioni dei vari paesi della zona euro. Non c’è che sperare nella locomotiva Usa e in un ribasso dell’euro rispetto al dollaro, causato dal prossimo rialzo dei tassi oltreatlantico.
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