by redazione | 5 Agosto 2014 9:48
ROMA — Abolito il pensionamento d’ufficio per professori universitari e primari a 68 anni. Accantonata la «quota 96» (il mix di età anagrafica e anni di contribuzione) che sbloccava 4 mila pensionamenti nella scuola di docenti esodati per la Riforma Fornero. Ritornano le penalizzazioni per chi va in pensione a 62 anni. Eliminati i benefici assistenziali e previdenziali aggiuntivi per le vittime del terrorismo. Sono questi i quattro emendamenti del governo presentati ieri in Senato all’articolo 1 del decreto legge sulla pubblica amministrazione: le modifiche sono state dettate dalla mancata copertura finanziaria, come aveva rilevato la Ragioneria dello Stato dopo l’approvazione alla Camera dei deputati.
Dure critiche piovono da Sel, M5S, Lega, Fdi-An, e da sindacati confederali, Ugl e organizzazioni dei medici. Replica il presidente del Consiglio: «L’emendamento sulla “quota 96” non c’entrava nulla con la ratio della riforma della pubblica amministrazione — fa notare Matteo Renzi — e quindi è stato giusto toglierla dal decreto». Ma Palazzo Chigi sulla scuola, secondo quanto trapela, ha intenzione di preparare un intervento a fine agosto, assai più ampio come platea del perimetro dei 4 mila insegnanti coperti dalla «quota 96».
Intanto il documento sulla Pa incassa il parere favorevole della Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama: ieri sera è iniziata la discussione in aula e oggi è atteso il voto finale. «Dobbiamo correre», prova a giustificarsi il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, rispondendo a chi le chiede se sul decreto sarà posta la questione di fiducia al Senato (arrivando così alla diciottesima volta dall’insediamento del governo), come già avvenuto alla Camera: le norme devono comunque tornare a Montecitorio e essere approvate in via definitiva entro il 23 agosto. Una possibilità che al ministro «sembra ragionevole», visto che anche alla Camera si è fatto ricorso a questo strumento.
Che la retromarcia del governo non sia stata semplice lo confermano le parole del relatore al decreto legge, Giorgio Pagliari (Pd), che spiega come la decisione sullo stralcio dell’articolo su «quota 96» sia stata «soffertissima». Contro questa decisione, che riguarda gli insegnanti con 61 anni di età e 35 di contributi oppure 60 anni e 36 di contributi, aveva puntato l’indice anche il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli. «Non si possono prendere in giro così migliaia di persone e le loro famiglie, già ingannate dalla Fornero», scrive in un Tweet il leader di Sel, Nichi Vendola. Critiche condivise da Forza Italia: «Questa è una grave ingiustizia — sostengono Elena Centemero e Renata Polverini (Fi) — che ha tolto la possibilità agli insegnanti che avevano già maturato i requisiti pre Fornero, di andare in pensione». Per i parlamentari M5S delle commissioni Cultura di Senato e Camera «abbiamo assistito a un vergognoso dietrofront del governo Renzi». Più duro il segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini: «Quattromila insegnanti, fregati dalla Fornero, sono stati ri-fregati da Renzi. Dovevano andare in pensione, ma il governo non trova i soldi». E appare perplessa pure la minoranza Pd. «Tutto ciò è inaccettabile e il governo non può farsi dettare ancora la linea politica da burocrati e tecnocrati», commenta Barbara Saltamartini (Ncd) che potrebbe anche votare contro il provvedimento. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, parla di «un pasticcio pensioni nella scuola» frutto di un «nuovo dilettantismo della classe politica».
Sui benefici aggiuntivi alle vittime del terrorismo interviene il deputato Paolo Bolognesi (Pd), presidente dell’Associazione vittime della strage di Bologna: «Siamo sorpresi e indignati: la questione delle pensioni per le vittime del terrorismo era stata risolta positivamente, avevamo avuto rassicurazioni dal governo, tanto che il decreto PA aveva messo la parola “fine”. Ora apprendiamo che si torna indietro in seguito ad un comportamento assurdo e incomprensibile dell’Inps».
Sul fronte sindacale Massimo Cozza, segretario nazionale Cgil Fp Medici, sottolinea: «Lo stop al tetto dei 68 anni per professori universitari e primari porterà al possibile pensionamento d’ufficio per i medici pubblici a 65 anni, primari e non, mentre ad esempio in un Policlinico i medici, che sono anche professori universitari, potranno andare in pensione a 70 anni». Cozza quindi punta il sito sul fatto che «la staffetta generazionale per ora è rimasta chiusa nei cassetti». Replica Alfonso Barbarisi, a nome dei professori universitari di area medica: «Evitare il pensionamento dei medici docenti a 68 anni non è la vittoria di chi è privilegiato, ma non aver commesso un grave errore. Per il sistema universitario sarebbe stato un danno, una sorta di decapitazione là dove non c’è un adeguato turnover». «Ha vinto il Gattopardo», taglia corto Giovanna Ioia, dell’Associazione giovani chirurghi della Campania.
Francesco Di Frischia
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