by redazione | 6 Agosto 2014 18:12
SCRIVE Fareed Zakaria che in Europa si sta sperimentando la costruzione di un nuovo regime, il “putinismo”: populista senza piazze oceaniche, plebiscitario anche se con scarso appeal, nazionalista, anti-occidentalista e convinto di poter consolidare il capitalismo senza bisogno di abbracciare i diritti civili; in generale, dirigista e convinto che rafforzare la leadership sia la condizione essenziale per avere ordine sociale e benessere. Un ipotetico trionfo russo nella crisi ucraina potrebbe dare nuovo ossigeno a questo modello, commenta Zakaria. E infatti esso ha già fatto breccia in alcuni paesi dell’ex Patto di Varsavia, al di qua di quella che nell’era della Guerra fredda era chiamata “cortina di ferro”, in particolare in Ungheria, che rappresenta un incunearsi del putinismo nell’Unione europea.
L’11 marzo 2013, il Parlamento ungherese ha approvato alcune modifiche sostanziali della Costituzione che limitano le libertà civili e i poteri della Corte Costituzionale. Gli emendamenti sono stati un’iniziativa del Partito nazionalpopulista Fidesz a guida Viktor Orbán, che controllava (e tuttora controlla) la maggioranza dei seggi in Parlamento. Tra gli articoli modificati, a destare più scalpore sono stati quelli che legittimano i limiti alla libertà di espressione, criminalizzano i senzatetto che dormono per strada, impongono ai neolaureati ungheresi un divieto di dieci anni a emigrare e sovvertono alcuni principi costitutivi della democrazia liberale come la separazione dei poteri e il controllo sulla costituzionalità delle leggi. Di fatto, uno degli articoli modificati diminuisce la facoltà della Corte Costituzionale di influenzare il contenuto della legge fondamentale — compreso quello in fase di emendamento — e revoca la validità dei verdetti da essa enunciati in precedenza. I rappresentanti dell’Unione Europea hanno espresso preoccupazione al riguardo ma, purtroppo, l’Ue non prevede una procedura che consenta all’Unione di interferire nelle faccende di politica interna qualora quest’ultima prenda direzioni non in sintonia con la democrazia costituzionale. Quindi il leader Orbán ha liquidato i timori dell’Ue con la seguente affermazione, pronunciata all’apertura della sessione parlamentare in cui si è votato per la nuova Costituzione: “La gente si preoccupa delle bollette, non della Costituzione”.
La traiettoria ungherese dalla democrazia liberale alla democrazia putiniana ha come teatro l’Europa occidentale, un continente quasi-unito, martoriato da una crisi economica e finanziaria di intensità, dimensioni e durata mai ancora registrate dall’epoca in cui, dopo la Seconda guerra mondiale, la democrazia elettorale ha riplasmato l’intero ordine europeo; ma anche un continente che è oggi scuola di profonde trasformazioni politiche. Come Zakaria osserva (su Repubblica di ieri), la più clamorosa di queste trasformazioni è quella in senso autoritario che si apprende sui banchi della scuola post-guerra fredda, e che propone leader forti che vogliono molto capitalismo e pochi intralci politici e giuridici offrendo in cambio benessere e sicurezza. Questo è il putinismo. Un sinistro modello di dirigismo che sfida il modello democratico europeo sui risultati, che assume un’impronta utilitarista la quale potrebbe far breccia anche da questa parte del continente, segnato da una crisi che non sembra mai risolta e che mette in seria questione le capacità delle democrazie occidentali di dare buoni risultati.
Questo è il paradosso al quale assistiamo: il sistema politico democratico gode del sostegno dell’opinione pubblica (potremmo dire di un carisma universale, visto che le stesse riforme ungheresi sono state propagandate come volte a difendere “la democrazia del Paese”), eppure i suoi attuali meccanismi di funzionamento sono sotto pressione e oggetto di critica, a causa in primo luogo di un declino di fiducia nelle istituzioni elettive per la loro debolezza, litigiosità, inconcludenza e sprechi. Una democrazia ibrida che, come ha scritto Ilvo Diamanti su Repubblica, si è fatta strada negli ultimi decenni “senza troppo scandalo, e anzi, nell’indifferenza”. Che ora, la svolta verticalista cerca di ricalibrare con assenso generale anche perché attuata non contro, ma nel nome della stabilità democratica. Gli ungheresi sono stati motivati nel loro desiderio di riformare la Costituzione da una forte insoddisfazione per il funzionamento delle istituzioni, l’operato dei politici e le modalità con cui venivano prese le decisioni in parlamento. Orbán ha lanciato al sistema ungherese l’accusa di corruzione, inefficienza, sperpero di risorse pubbliche, incompetenza dei politici e, soprattutto, sistematica abitudine degli eletti a ignorare le opinioni dei cittadini.
Riconciliare una democrazia idealizzata con la sfiducia popolare in quella realizzata non è un compito facile. Ci sono segnali evidenti di un grave declino di legittimità del sistema, malgrado il favore universale di cui l’ideale democratico gode. La direzione putiniana che attira oggi alcuni paesi del vecchio continente indica, significativamente, l’assoluta incertezza che circonda gli esiti dell’ordine politico che ha vinto la Guerra fredda. Come ha detto Orbán, citato da Zakaria, «Il tema più popolare della riflessione politica oggi è di comprendere come sistemi che sono non occidentali, non liberali, non liberal-democratici possano tuttavia rendere i loro paesi delle nazioni di successo”. È questa l’ambizione inseguita proprio da dentro il cuore dell’Europa: avviare un nuovo esperimento di “democrazia illiberale”, attenta ai risultati e al successo prima di tutto, anche a costo di forzare le procedure.
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