Sul confine della battaglia “Li abbiamo messi in fuga ora Kiev ci vuole a pezzi”
FRONTIERA NOVOAZOVSKAJA. FORSE perderanno la guerra, ma si vede dall’aiuola di Natasha che i ribelli stanno vincendo la battaglia. «Qui oggi non c’è nessuno ad aspettare, e invece guarda», dice mostrando fotografie scattate “pochi giorni fa” in cui un centinaio di ucraini sono in fila davanti a un pullman già troppo carico. Novoazovsk ora è presidiata dai carrarmati russi senza insegne, quelli che i ribelli dicono di aver conquistato «dai nemici che costringiamo a fuggire», e la frontiera russa è poco più di un rocchetto di filo spinato nel deserto della steppa. Nessuno fugge più, i pochi che lo fanno arrivano da lontano, dalle periferie di Donetsk e da Lugansk in cui continuano i bombardamenti: «Contiamo i morti ogni giorno», dice Ekaterina al telefono dalla capitale del Donbass, «qui è sempre peggio». Alla frontiera, invece, oggi i soldati annoiati affrontano le pochissime auto che si avventurano in uno dei due sensi. «Non si passa, abbiamo avuto ordine di ammettere solo ucraini e russi», dice un militare con il kalashnikov in spalla davanti alla sbarra, respingendo un’auto con targa moldava.
«Negli ultimi giorni centinaia di ucraini arrivavano a piedi, per scappare dalla guerra. A volte rimanevano qui una giornata intera ad aspettare che li venissero a prendere i parenti», dice Natasha, che gestisce il chioschetto in cui vende assicurazioni obbligatorie a chi entra in Russia. La frontiera Novoazovskaja taglia la strada che collega la russa Rostov sul Don all’ucraina Mariupol, per poi proseguire verso la Crimea. Pochi giorni fa, dall’altra parte del valico c’erano gli ucraini: oggi fino alla periferia di Mariupol non vedi più nulla con le insegne gialle e blu di Kiev: è lì, a Mariupol, il nuovo fronte della maledetta guerra del Donbass. Le casupole basse di lamiera dei militari, un bar trasandato e due chioschetti: lo sperduto posto di frontiera a pochi chilometri dalla placide sponde del mar d’Azov è il trofeo strategico più importante che la Dnr, la “Nuova Russia” dei ribelli del Donbass pesanteva mente aiutati dai russi, ha raggiunto mercoledì nell’avanzata fulminante con cui ha rotto l’assedio di Donetsk e annichilito le speranze di Kiev di poter vincere la guerra con il suo esercito depresso e male armato. Il regalo più ambito da genitori e fidanzate, per i soldati ucraini, sono i corpetti antiproiettile che l’esercito non ha in dotazione.
«Tutto tranquillo, veniamo ora da Mariupol», dice una troupe televisiva croata, l’unica auto che transita in una buona mezz’ora. L’ultimo check point dei ribelli è a Novoazovsk, a dieci chilometri dal confine, poi è terra di nessuno fino al check point dell’esercito ucraino alla periferia di Mariupol. «Poroshenko ci vuole fare a pezzi, quel pazzo», urla l’autista sfogando la tensione. Ma a innervosirsi è il soldato alla sbarra, allontanandoci. Poco più tardi, torna alla carica, ci impone di seguirlo da un superiore, sequestrando i passaporti: «Dovete stare a 5 chilometri di distanza dalla frontiera o ci saranno conseguenze penali ».
I “ventimila soldati russi lungo i confini”, e gli altri “ventimila a poca distanza” che la Nato ha contato non sono certo qui. Non trovi carrarmati né blindati, all’orizzonte non si vedono mezzi militari ma solo immensi campi, sterpaglie di grano e girasoli ormai avvizziti. Un’aquila si leva improvvisa al ciglio della strada, il sole tiepido all’imbrunire illumina gli armenti sulle rive di un estuario sul mar d’Azov, tra cannicciate e silenzi. Eppure è qui, in questa quiete assoluta, che la guerra si alimenta e si combatte. A dieci chilometri dal confine, il fumo e i boati hanno fatto fuggire gli abitati di Novoazovsk insieme ai soldati di Kiev. Nel villaggio, poche migliaia di anime sono protette oggi dai “ribelli” con i carrarmati senza insegne, accanto ai quali ci sono i resti di un pranzo confezionato con la scritta “per l’esercito russo”.
«I carrarmati russi? Mai visto mezzi militari passare di qui», dice Ira nel suo bar che interrompe la steppa russa. «Purtroppo da qui non passa più nessuno, solo ucraini con la loro valuta, la grivna, che non vale nulla… Una volta qui passavano migliaia di turisti russi diretti in Crimea, è l’unica strada che ti ci porta: saremo costretti a chiudere». È a Dmitriadovka che finiscono i profughi senza parenti, in un campo allestito a una ventina di chilometri dal confine. I pullman vanno a prenderli al confine, e quando si riempiono li portano qui: «Mi sono rotto le scatole, di fare il profugo». Povero Alexandr, è già la seconda volta che la roulette russa della vita gli spara contro una granata, distruggendogli casa e vita. «Io e mio fratello Sunbad eravamo ragazzini, vivevamo a Kangià, in Nagorno Karabakh. Siamo fuggiti grazie a mia sorella che faceva la hostess, ci siamo rifatti una vita a Lugansk, in Ucraina». Un mese fa, quella vita gliel’ha distrutta un bombardamento, uno dei tanti che piovono ogni giorno nell’Est ribelle. Ma da qualche giorno lo scenario è cambiato. «Ieri è arrivata una signora da Novoazovsk, oggi voleva già tornarsene a casa», dice Aliona. «Le notizie qui dicono che è tornata tranquilla, e che ora i ribelli prenderanno anche Mariupol».
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