Caos a Tripoli, gli islamici conquistano l’aeroporto
Tutti sui barconi. Da qui alla fine dell’anno almeno 60-100 mila migranti prenderanno la via del mare dalla Libia. Destinazione Lampedusa. I morti di ieri, i naufraghi delle carrette, rientrano nella contabilità della guerra civile che sta divorando la Libia. È uno scontro totale, sempre più difficile da ricomporre, tra la milizia di Misurata e i rivali storici di Zintan. Si combatte nei quartieri periferici di Tripoli e dal 13 luglio nell’aeroporto della capitale. I comandanti di Misurata avevano proclamato che lo avrebbero strappato in tre giorni ai nemici. Ieri notte hanno annunciato di averlo conquistato. E ora puntano a riprendere il controllo del governo e di quello che resta di uno Stato al collasso. Ma nulla è semplice nel groviglio di interessi, di fazioni, di alleanze internazionali che soffoca la Libia.
Fallito il 25 giugno il tentativo di ricostruzione per via istituzionale, con le elezioni del Parlamento poi invalidate dalla Corte suprema, la parola è tornata alle armi.
In campo, con un po’ di approssimazione, due schieramenti e diverse contraddizioni. I «borghesi» di Misurata, città sulla costa di commerci e di uomini di affari, si sono alleati con le formazioni islamiche (niente a che vedere però con gli estremisti dell’Isis, lo Stato islamico). Dall’altra parte le tribù della città di Zintan, ai margini del deserto, si appoggiano al blocco politico-geografico più laico e liberale e, persino, ai nostalgici di Gheddafi. Un paradosso: Zintan per decenni è stato il simbolo fieramente indomabile dell’opposizione al Colonnello. Attenzione anche ai collegamenti internazionali: l’Egitto di Al Sisi, gli Emirati e l’Arabia Saudita fiancheggiano Zintan; Turchia e Qatar, Misurata.
Due giorni fa i battaglioni di Misurata e i combattenti islamici hanno conquistato alcune posizioni nell’aeroporto, lasciando sul terreno almeno 150 morti. Subito dopo sono stati bombardati da aerei non ancora identificati ufficialmente. Potrebbero essere quelli inviati dal generale dissidente Khalifa Haftar da Bengasi, in appoggio a Zintan; oppure, questa è l’accusa avanzata dal quartier generale di Misurata, dagli alleati internazionali dei rivali, quindi Egitto, Emirati e Arabia Saudita.
Solo una cosa è certa: caos nei terminal, caos a Tripoli, caos in Libia. Non potrebbe esserci un ambiente migliore per la fioritura dei traffici criminali e del contrabbando: armi, droghe sintetiche, benzina e, il più infame di tutti, esseri umani. Si stima che l’economia illegale valga circa il 10% del prodotto interno lordo: almeno 5-6 miliardi sul totale di 56 miliardi di dollari. Negli ultimi giorni i clan di trafficanti hanno accelerato le operazioni, abbassando anche i prezzi del trasporto: ora sono sufficienti anche 700-800 dollari, la metà rispetto all’anno scorso. Fa paura anche Ebola, il virus proveniente dall’Africa più profonda. Insomma le operazioni di imbarco sono l’unica cosa che funzioni, nel marasma libico. Le centrali sono due: la più attiva a un centinaio di chilometri ad ovest di Tripoli, con la sequenza dei porti di Sabrata e Zuara. L’altro polo a est della capitale, a Zliten. Le rotte da una parte e dall’altra formano un triangolo, con al vertice Lampedusa. Lo scorso anno, su questi tracciati, navigarono e spesso naufragarono, 14 mila tra uomini, donne e bambini. Nel 2014 sono già 92 mila. Altre migliaia di persone sono in attesa, ammassate nei campi di raccolta e di lavoro. Entro l’anno il numero dei disperati in mare può arrivare fino a quota 150 mila se non 200 mila .
Giuseppe Sarcina
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