Cannabis, l’appello di Umberto Veronesi accende il dibattito

Cannabis, l’appello di Umberto Veronesi accende il dibattito

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L’educazione è fatta anche di regole, quindi di divieti. A nostro avviso è giusto che lo Stato ponga dei paletti precisi senza abdicare al suo ruolo, abbandonando le famiglie sul fronte educativo». È forte e chiaro il no della Comunità di San Patrignano all’appello per la legalizzazione della marijuana lanciato l’8 agosto su “L’Espresso” da Umberto Veronesi.

L’articolo del grande scienziato, da decenni impegnato contro il proibizionismo, rinfocola le polemiche intorno alla liberalizzazione delle droghe leggere in Italia, mentre negli Stati Uniti continua a far discutere la clamorosa campagna intrapresa a fine luglio dal “New York Times” a favore della marijuana libera per chi ha almeno 21 anni, forte del sondaggio del Pew Research Center secondo cui il 54 per cento dei cittadini americani è favorevole. Tema in realtà molto controverso, anche negli Stati Uniti: se è vero, infatti, che a gennaio di quest’anno il Colorado e subito dopo lo Stato di Washington hanno autorizzato il consumo di cannabis ad uso “ricreativo”, la Casa Bianca ha duramente criticato la svolta antiproibizionista del quotidiano della Grande Mela.

Metà dei giovani ne fa uso, la mafia fa affari, il proibizionismo ha fallito. Ma nel mondo cresce la voglia di liberalizzazione. Un grande medico spinge l’Italia sulla stessa strada

Quanto all’Italia, uno dei cardini della tesi di Veronesi, che nell’appello sul nostro giornale sottolinea di essere «in quanto medico e padre oppositore convinto di tutte le droghe», è che bisogna passare da un’attività indiretta (vietare) a una diretta (educare).

«Lo Stato certamente può fare di più in merito alla prevenzione, ma non si ingannino le persone dicendo che in Italia questa attività non può essere effettuata a causa del proibizionismo», ribatte Antonio Boschini, responsabile terapeutico dell’organizzazione fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli, posizione condivisa dal comitato sociale che guida la comunità.

Marco Cappato
Marco Cappato

«I proibizionisti si buttano a capofitto nell’invocazione dello Stato come soggetto deputato a dare il buon esempio, o a non dare il cattivo messaggio della tolleranza nei confronti delle droghe: sempre di alcune, visto che l’alcol è pubblicizzato in ogni dove», replica Marco Cappato, capogruppo dei Radicali-federalisti europei al Comune di Milano, che da anni si batte per la legalizzazione della marijuana e delle altre droghe: «Questo modo di ragionare percorre la stessa strada che ha sempre portato allo Stato etico e al totalitarismo: la consegna alle istituzioni politiche, attraverso divieti e forze dell’ordine, della difesa del bene e della virtù».

Contro l’appello di Veronesi hanno preso carta e penna anche due scienziate: Elisabetta Bertol, ordinario di Tossicologia Forense all’Università di Firenze, e Donata Favretto, professore associato nella stessa disciplina all’ateneo di Padova, rispettivamente presidente e membro dell’Associazione scientifica Gruppo tossicologi forensi italiani. «Vogliamo liberalizzare totalmente la cannabis e le altre droghe? Decidiamo in tal modo di rischiare la vita o far salire i nostri figli su un treno, un pullman o una nave (ogni riferimento è voluto) condotti da personale che liberamente può essersi fatto una canna o un tiro di cocaina», scrivono le due docenti: «Ci vuole pensare il professor Veronesi alla ricaduta di questa totale “liberalizzazione” sulla sicurezza stradale? Gli effetti “piacevoli” di una “fumatina” di marijuana durano fino a due ore circa, ma gli effetti avversi, comportamentali e fisiologici, permangono fino a tre-cinque ore dopo l’uso».

Un argomento, quello della pericolosità della cannabis, che invece secondo gli antiproibizionisti non regge il confronto con altre sostanze. «Alcol e tabacco sono droghe più dannose da ogni punto di vista e secondo ogni parametro medico-scientifico», ribatte Cappato: «Ma sono liberalizzate senza che nessuno ne proponga seriamente la proibizione, al di fuori di regole ragionevoli e necessarie per impedire il consumo passivo e per disincentivare l’abuso, in particolare da parte dei minori. La guida in stato di ebbrezza da cannabis sarebbe certamente sanzionata anche in caso di legalizzazione, dunque non è un argomento. La realtà è che ogni prodotto che ingeriamo – alimento, bevanda, medicina, sostanza stupefacente – necessita di regole per consentire scelte libere, consapevoli e responsabili a seconda dei rischi. Se oggi esistono alcuni tipi di cannabis più potenti rispetto al passato, dipende dal fatto di aver lasciato alla criminalità organizzata il monopolio della produzione: se non verrà legalizzata, tra dieci anni la cannabis sarà ancora più potente».


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