Barghouti: “Ora ci vuole l’Intifada della nonviolenza”

by redazione | 4 Agosto 2014 8:44

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GERUSALEMME. «ERAVAMO venuti al Cairo per il negoziato. Ma le trattative non sono l’unica strategia, esistono strategie alternative. Che per me sono fatte di due cose: l’unità del movimento — un governo unitario come quello raggiunto con l’accordo con Hamas; e una grande resistenza popolare, una Intifada non violenta come quelle di Martin Luther King o di Gandhi». Mustafa Barghouti, l’ex candidato alla presidenza dell’Autorità nazionale palestinese, battuto da Abu Mazen nel 2005, parla dal Cairo dove sono arrivate le delegazioni di Hamas e Fatah, ma non quella israeliana.
Che cosa si aspetta da questo incontro?
«Ovviamente non sarà un negoziato, visto che Israele si è rifiutata di venire. Questo rifiuto è una prova ulteriore che l’obiettivo di Netanyahu non è mai stato il cessate-il-fuoco. Ha preso in giro il modo dicendo che accettava la proposta egiziana. Per me è incredibile come l’Occidente — tutti, i politici, i media — accettino la narrativa israeliana senza batter ciglio: Israele ha diritto a difendersi, si dice, ed è vero, ma non si tiene in alcun conto che anche il popolo palestinese ha il diritto di difendersi contro l’occupazione. Un altro esempio: Hamas ha dato inizio alla guerra, si dice, con i terroristi nel tunnel. Ma la guerra è cominciata prima, con le razzie in Cisgiordania, 27 palestinesi morti in due settimane, centinaia di arrestati. Chiaramente tutto questo era stato programmato».
Con quale obiettivo avrebbe programmato questa guerra il governo israeliano?
«Io credo che l’obiettivo di Netanyahu fosse quello formulato dal ministro Steinitz all’inizio: rioccupare Gaza e sradicare Hamas. Nella Striscia oggi la situazione è devastante. Anche in queste ultime ore ci sono state altre decine di morti. Ma Israele non ha vinto. I due obbiettivi sono falliti e c’è stata inoltre una incredibile défaillance dell’intelligence».
Intende la sorpresa per l’esistenza di un sistema così esteso di tunnel?
«I tunnel sono stati presentati come una minaccia esistenziale per Israele, ma in realtà sono soprattutto un modo di resistere contro il blocco totale che dura da otto anni. Non sono mai stati usati contro i civili. Nessun civile è stato ucciso attraverso i tunnel, solo soldati».
Che ruolo può svolgere ora l’Autorità nazionale palestinese?
«Noi, come governo unificato, vogliamo prima di tutto il cessate-il-fuoco e la revoca del blocco della Striscia. Poi dobbiamo rimuovere le cause di questa situazione. Israele ha dovuto constatare che la volontà politica dei palestinesi è più forte di quanto pensasse. E le assicuro che cresce in tutta la Palestina la resistenza, non solo come solidarietà verso la gente di Gaza, ma contro l’occupazione, per la libertà. Siamo vissuti tutta la vita sotto un’occupazione, anche quando c’è l’illusione di esercitare un potere. L’esercito israeliano può entrare dappertutto e uccidere, l’Autorità palestinese non può proteggere i propri cittadini. C’è un disagio crescente,
che prende forme diverse dal passato. Un’Intifada non violenta. Credo che anche in Palestina ci muoviamo verso forme di politica più moderna. Perché appunto la libertà è pura illusione: sarebbe come dire che Gaza è libera, perché gli israeliani se ne sono andati. Assediata da terra, mare e cielo, che libertà è questa?»
Che cosa si aspetta dal resto del mondo?
«Neanche dopo i morti di Gaza si è spezzato il sostegno politico che i governi europei e americano danno a Israele, ma è diventato sempre più schizofrenico, perché i governi sono sempre più divisi dalle loro opinioni pubbliche. La gente non ne può più di vedere questa disumanizzazione dei palestinesi. Oltre 1.800 morti, 9000 feriti, l’80 per cento donne e bambini. Gli stessi governi sono sempre più indotti a riflettere, guardi come hanno votato la risoluzione di condanna della Commissione dell’Onu per i Diritti Umani».
Le prospettive quali solo? quella dei due Stati è ancora possibile?
«Netanyahu non vuole né la soluzione dei due Stati, nè quella di uno Stato. Vuole continuare l’occupazione. Ma dovrà decidere, perché può essere già tardi per i due Stati e la responsabilità è di chi non ha fermato i coloni. Ma se la soluzione dei due Stati fallisce si consolida l’apartheid, visto che Israele vuole la supremazia e non l’integrazione. E questo porterà a una nuova lotta per la parità dei diritti ».

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