Bando russo sull’import, la lista di Putin

by redazione | 8 Agosto 2014 17:27

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Dalla guerra del petrolio e delle armi a quella del merluzzo con la Norvegia, della margarina con l’Olanda, della pasta con l’Italia. Vladimir Putin, ancora una volta, delude e, soprattutto, spiazza i fautori del dialogo. Il governo russo ha annunciato due giorni fa una serie di misure economiche, in risposta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Divieto di importazione di un nutrito elenco di generi alimentari dai 28 Paesi della Ue, dagli Usa naturalmente e da Canada, Norvegia e Australia. Il bando dovrebbe cancellare circa 31,3 miliardi di euro su un totale di 52 miliardi di importazioni agroalimentari russe: carne, pollo, pesce, latte, uova, frutta e verdura.
Il blocco, cominciato ieri, dovrebbe durare un anno e, secondo gli esperti di Mosca, potrebbe scatenare una sommossa degli imprenditori occidentali. Risulta interessante (e anche sorprendente) scorrere la lista dei Paesi più danneggiati, secondo i dati forniti dalla Commissione Europea e dalle Nazioni Unite. Al primo posto la Norvegia, con ricavi a rischio per 1,53 miliardi di euro. Segue la Lituania, con danni per 927 milioni di euro; poi la Polonia, la nazione forse più ostile in questo momento alla Russia, con 841 milioni di euro. Seguono gli Stati Uniti con 627 milioni; la Germania, 595; l’Olanda, 528; la Danimarca, 377; la Spagna, 338. L’Italia? Al decimo posto in Europa (dodicesimo nel mondo, compresi Usa e Canada) con 163 milioni, dietro i 244 della Francia e i 281 del Belgio.
Certo, in occasioni come queste, ovunque gli imprenditori, le organizzazioni di categoria, legittimamente, presentano il conto. In Italia, segnala la Coldiretti, sono a rischio merci per un valore di 183 milioni di euro (stima di 20 milioni superiore rispetto a quella della Ue), su un totale di 706 milioni di esportazioni agroalimentari (di questi 123 milioni arrivano dalla Lombardia). Tre le voci più colpite: ortofrutta (72 milioni di euro di vendite nel 2013); carni (61 milioni di euro); pasta (50 milioni). Si salveranno, invece, vini e spumanti esclusi dall’embargo (112 milioni di export).
Anche la Cia (Confederazione italiana agricoltori) non risparmia cifre e allarme, sottolineando come l’agroalimentare rappresenti il 10,3% dell’export verso la Russia. Infine la voce degli industriali-trasformatori: Luigi Scordamaglia, vicepresidente di Assocarni e Federalimentare, prevede una perdita di «oltre 100 milioni di euro all’anno per il settore agroalimentare italiano». Parole che si uniscono alle proteste dei piccoli e medi imprenditori tedeschi, riportate nei giorni scorsi dalla stampa in Germania.
Un primo risultato politico, dunque, Putin sembra averlo già raggiunto, nonostante non si possa ancora dire nulla di certo sull’intensità della «guerra commerciale». La prima reazione della Commissione europea, oltre al «rammarico», è quella di prendere tempo per «valutare misure che hanno una motivazione chiaramente politica». Lunedì 11 agosto il commissario all’Agricoltura Dacian Ciolos istituirà una «task force di esperti» per quantificare i danni.
Nelle principali cancellerie, comunque, la preoccupazione è ben lontana dall’allarme rosso. Basta qualche calcolo, seguendo sempre le stime dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite. Ebbene, l’offensiva di Putin potrebbe azzerare solo l’1,7% del flusso di acquisti dalla Germania, senza neanche sfiorare il business delle auto (una vettura su cinque in Russia è di fabbricazione tedesca). L’export della Francia verso Mosca potrebbe diminuire del 3,1%; quello della Gran Bretagna solo dello 0,85%. L’Italia, alla fine, potrebbe sopportare una perdita all’1,6% dei ricavi totali, salvando, oltre ai vini, tutta la filiera dell’abbigliamento e dei prodotti di lusso.
Ma c’è, comunque, un dubbio di fondo: Putin è davvero in grado di reggere il boicottaggio alimentare? Quale sarebbe l’impatto sulla società russa? E’ chiaro che il numero uno del Cremlino non può rischiare di far precipitare i concittadini nell’incubo sovietico di 25-30 anni fa: scaffali vuoti nei negozi, code e prezzi sempre più alti. Consumi abbondanti, se non addirittura lussuosi, costituiscono le basi materiali della propaganda putiniana. E poco importa se la realtà di larghe fasce della popolazione russa sia lontana dai feticci della pubblicità e dei discorsi ufficiali.
A Mosca gli economisti del governo rassicurano i cittadini: non preoccupatevi, il pesce lo compreremo in Marocco o in Algeria; la carne la faremo arrivare dal Brasile o dall’Argentina. E poi ci sono la Cina, l’India. Una pista interessante la fornisce, involontariamente, il ministro dell’Agricoltura Nikolai Fyodorov quando dichiara che «troverà il modo per evitare che i cibi sottoposti al bando vengano reimportati in Russia attraverso la Bielorussia e il Kazakistan». Ecco le contromisure alle contromisure: contrabbando e mercato nero, due «specialità» mai sopite nel profondo Est, oltre i confini europei, e in Russia.
Giuseppe Sarcina

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